Usa e Ue: «Fermate la guerra!»

crisi georgianaIl Sole24Ore.com 8 agosto 2008

di Piero Sinatti

Da guerra dei nervi, fatta di inconcludenti trattative politico-diplomatiche alternate a minacce e scambi di colpi d’artiglieria pesante, il contenzioso  georgiano-sud ossetino, da ”conflitto congelato” si è ormai trasformato ora in guerra aperta.

E’ un durissimo colpo alla già precaria  stabilità dell’intera regione caucasica. Rischia di ripercuotersi nei rapporti internazionali: specie quelli tra la Russia, che di fatto sostiene i separatisti, pur non riconoscendone formalmente l’ indipendenza, e gli USA, fondamentale sostegno politico, diplomatico e militare di Tbilisi.

Si è creato, in quella parte del Caucaso,  un pericoloso vuoto: hanno cessato di esercitare il loro compito istituzionale di “peace keeping”, internazionalmente fissato negli anni Novanta, le “Forze Miste per il sostegno della pace”, composte da militari russi, georgiani e sud-ossetini.  Dei peace keepers russi, accusati di proteggere “il regime e le attività criminali” dei separatisti, da tempo Tbilisi, con il sostegno americano, reclamava la sostituzione con militari di altri paesi (Turchia, UE, persino GUAM).

Violata la “tregua olimpica”

Tbilisi dopo questo attacco perde non poca della sua  credibilità internazionale. Ha violato un impegno formale come quello della “tregua olimpica”, annunciato dal proprio ministero degli esteri il 5 agosto, dopo che il conflitto “caldo” era ripreso con il bombardamento dell’artiglieria georgiana su Tskhinvali e dintorni del 2 agosto (6 morti e 15 feriti; evacuazione da quella città  di gran parte di donne e bambini).

Dalla primavera scorsa, tuttavia, il presidente sud-ossetino Kokojta e il MID russo denunciavano il pericolo di un incombente attacco georgiano della portata di quello sferrato stanotte.

Il giorno dell’attacco non è stato scelto a caso. L’8 agosto si inaugurano le Olimpiadi a Pechino, concentrando su di sé l’attenzione del mondo non solo sportivo: all’evento partecipano capi di stato e di governo dei principali paesi, tra cui il presidente americano Bush e il premier russo Putin.

L’attacco, che per ora appare favorito dalla preponderanza di uomini e mezzi da parte georgiana, è stato sferrato allo scopo di mettere tutte le parti interessate al conflitto di fronte al fatto compiuto: la conquista della repubblica separatista, perduta nel lontano 1992, e “il ristabilimento” in essa “della pace e dell’ordine costituzionale”: cioè, il ritorno alla sovranità georgiana.

Al tempo stesso, Saakashvili, in caso di successo, ha anticipato sia l’arrivo dalla Russia, in sostegno dei separatisti,  di volontari armati, per lo più nord-ossetini e cosacchi, annunciato nei giorni scorsi; sia l’intervento nel conflitto dell’altra repubblica separatista caucasica su cui Tbilisi vuole ripristinare la perduta (nel 1993) sovranità:  la più grande, più ricca e meglio armata Abkhazia. Il suo presidente Bagpash ha sottoscritto con Tsinkhvali, lo scorso aprile, un patto di reciproco aiuto militare in caso di aggressione georgiana.

Saakashvili potrebbe essere andato oltre la volontà di Washington, che più volte, come nella grave crisi assetino-georgiana del 2006, ha premuto su Tbilisi, per evitare il ricorso alla forza.

Labile disgelo

La scorsa primavera c’erano stati alcuni segni di disgelo tra Mosca e Tbilisi. Mosca aveva tolto l’embargo aereo e marittimo alla Georgia. Durante il vertice della CSI a San Pietroburgo, lo scorso giugno, l’incontro tra il neo-presidente russo Medvedev e il collega georgiano era stato cordiale:    entrambi si erano impegnati per una soluzione politica ai problemi del Sud Caucaso.

Tuttavia, la situazione è da allora peggiorata. Da una parte la Russia intensificava i rapporti di cooperazione con le due repubbliche, parte dei cui cittadini da tempo sono stati dotati di passaporto russo. Reparti di genieri russi ripristinavano le linee ferroviarie in Abkhazia. Si stringevano, a livello economico e politico, i rapporti tra l’Ossetia del Nord, che fa parte della Federazione russa, e l’Ossetia del sud.  Tbilisi temeva che Mosca, in reazione alle insistenti richieste georgiane di ammissione nella Nato, finisse con il riconoscere le due repubbliche separatiste.

Una questione ardua

Dal canto suo, la Georgia da anni incrementa la spesa militare. In aprile ha accresciuto del 29% il bilancio già alto della difesa (oltre il 20% del budget complessivo).

A fornire di nuovi armamenti la difesa georgiana, provvedono da tempo, oltre agli USA, l’Ucraina in particolare e non pochi paesi della Nato.  Dell’ingresso di Tbilisi nell’Alleanza atlantica, Saakashvili fa da tempo il perno della propria politica internazionale.

La soluzione politica del conflitto tra Tbilisi e i separatisti si è finora rivelata impossibile. Da una parte Abkhazia e Ossetia del sud rifiutano l’ampia autonomia che Tbilisi è disposto a concedere loro: l’indipendenza, conquistata con le armi, non può essere messa in discussione, secondo Tskhinvali e Batumi.

Dall’altra, Saakashvili, dopo aver liquidato quattro anni fa, senza colpo ferire, il separatismo dell’Adzharia,  ha fatto del ripristino della sovranità su Abkhazia e Ossetia del sud  l’obiettivo fondamentale della propria presidenza, una missione morale e nazionale con cui si è personalmente impegnato con il paese e gli elettori.  E su cui gioca il suo (vacillante) prestigio.

Da oggi, si inasprisce drammaticamente il Grande Gioco per l’influenza nel Sud Caucaso. Tbilisi è una pedina  importante per la presenza e iniziativa politico-militare ed economica USA nella regione caspico-caucasica. E Mosca rischia di perdere terreno e faccia, se Tbilisi riesce a imporre la sovranità sull’Ossetia del Sud. D’altra parte, i suoi interessi e complessi rapporti internazionali non possono non tenerla lontana da un intervento diretto, militare.

Nella dichiarazione di stamani, il Ministero degli esteri russo condanna duramente l’intervento georgiano, ma sottolinea la necessità di “proseguire gli sforzi volti ad interrompere ulteriori spargimenti di sangue e il ritorno della situazione nell’Ossetia del sud nell’alveo della pace”.

Il rischio più grave, ora,  è la prosecuzione e l’estensione del conflitto armato, dagli altissimi costi umani ed economici. Per questo il conflitto deve essere fermato al più presto: USA e UE hanno la forza politica per fermare Saakashvili. Rivelatosi un leader inaffidabile e avventuroso. Prima che sia tardi.