di Massimo Introvigne
Dall’estero continuano a piovere esempi di come funzionino davvero – e non nel mondo della propaganda spicciola dei loro promotori – le leggi sull’omofobia. L’ultimo caso, gravissimo, arriva dagli Stati Uniti, un Paese di cui molti pensano che l’intransigente e tradizionale difesa della libertà di esprimere qualunque opinione lo protegga dalle follie anti-omofobia che si sono manifestate altrove.
Ma non è così. Gli Stati Uniti, è vero, sono affezionatissimi alla libertà di opinione, e i loro tribunali hanno affermato che in America si può esprimere pubblicamente più o meno qualunque idea: ci si può dichiarare nazisti, fondare logge del Ku Klux Klan, insultare Gesù Cristo o auspicare che la Corea del Nord occupi gli USA e li trasformi in una colonia stalinista. Tutto in nome del famoso Primo Emendamento della Costituzione, che assicura la più ampia libertà di espressione.
Ma ora sembra esserci una sola opinione che non può essere espressa liberamente, quella «omofoba» o contraria al matrimonio omosessuale. Sono state pubblicate le motivazioni della sentenza resa il 22 agosto scorso dalla Corte Suprema del New Mexico nel caso Elane Photography contro Vanessa Willock: una decisione che assesta un colpo decisivo alla libertà di espressione e mostra il furore ideologico con cui sono applicate le leggi contro l’omofobia.
Il New Mexico ha una vecchia legge contro il razzismo che vieta agli esercizi pubblici di rifiutare di servire clienti in ragione del colore della loro pelle. Più recentemente – esattamente come si vuole fare in Italia estendendo la legge Mancino – le norme sono state estese ai casi di omofobia, transfobia e avversione alle persone bisessuali. Si tratta solo di colpire baristi che rifiutano un drink agli omosessuali? No, come dimostra il caso Elane Photography.
La Elane Photography è un’agenzia fotografica di qualità, che realizza fotografie artistiche che sono poi rielaborate, stampate e presentate anche su siti Internet accessibili solo ai suoi clienti. Queste fotografie sono scattate, tra l’altro, in occasione di matrimoni. La sua titolare è una nota fotografa, Elaine Huguenin. Avvicinata da due lesbiche per un servizio fotografico sul loro matrimonio, la Huguenin rispose che – in ragione delle sue convinzioni religiose e politiche – preferisce non fotografare matrimoni omosessuali, festeggiamenti ed effusioni tra persone dello stesso sesso.
Una delle lesbiche, la signora Vanessa Willock, ha denunciato l’agenzia in base alla legge sull’omofobia, e i tribunali in tre gradi – primo grado, appello e ora Corte Suprema – hanno dato ragione alla Willock. L’agenzia d’ora in poi dovrà fotografare matrimoni omosessuali o chiudere i battenti.
Storie di ordinaria ideologia, ma le lunghe motivazioni della Corte Suprema vanno oltre quanto è stato deciso in altri casi. Precisano che le disposizioni sull’omofobia prevalgono non solo sulla libertà religiosa – come hanno denunciato i vescovi cattolici americani, su questo punto purtroppo c’è ormai tutta una serie di sentenze, comprese un paio della Corte Suprema federale – ma anche su quello che sembrerebbe un pilastro del diritto degli Stati Uniti, la libertà di espressione. E perfino sulla libertà artistica.
«La signora Huguenin ha capito male la legge», scrivono letteralmente i giudici: di fronte alle leggi sull’omofobia, non c’è nessuna esenzione o protezione per l’espressione artistica. Un grande artista non potrebbe rifiutarsi – se offre normalmente servizi di ritratti a pagamento – di ritrarre due omosessuali che si baciano con la motivazione che è contrario all’omosessualità in ragione delle sue convinzioni religiose o filosofiche.
La povera fotografa aveva obiettato che, ragionando così, un artista afro-americano avrebbe potuto essere obbligato a ritrarre una cerimonia dei razzisti del Ku Klux Klan. Esempio sbagliato, rispondono i giudici. Non esiste una legge che protegga i razzisti. Però, spiega la Corte Suprema, «l’esempio sarebbe appropriato se i ruoli fossero rovesciati»: dal momento che la legge – che non protegge i razzisti – protegge invece le minoranze etniche, i giudici affermano che «un fotografo membro del Ku Klux Klan sarebbe costretto» a ritrarre una manifestazione di attivisti afro-americani e perfino a rappresentare tale manifestazione «in una luce positiva».
Se ne ricava anche che una fotografa lesbica può rifiutarsi di ritrarre un matrimonio fra un uomo e una donna, affermando che le fa schifo – perché i non omosessuali non sono una categoria protetta – mentre una fotografa cristiana non può rifiutarsi di mettere la sua professionalità al servizio di un matrimonio lesbico, perché gli omosessuali rientrano tra le categorie protette dalla legge anti-discriminazione.
I vescovi cattolici degli Stati Uniti avevano ragione. Le leggi imposte dalla lobby gay stanno trasformando l’affermazione americana secondo cui gli Stati Uniti sono il Paese del mondo che protegge più scrupolosamente la libertà religiosa in una farsa. E lo stesso vale per la libertà di espressione, anche artistica. Con tanti saluti al Primo Emendamento della Costituzione. Ma con un chiaro messaggio al mondo sul potenziale totalitario ed eversivo delle leggi contro l’omofobia.