Radici Cristiane n.125 Giugno 2017
L’evolversi della situazione internazionale ed i nuovi scenari definiti dallo scontro tra Russia e Stati Uniti su Assad induce a riflettere, se sia davvero possibile «Comprendere il caos siriano». Ed è proprio questo il titolo del libro, scritto a quattro mani da Randa Kassis con Alexandre Del Valle, colui che, in questa splendida intervista, ci spiega come leggere ed interpretare correttamente gli eventi, di cui siamo spettatori
a cura di Mauro Faverzani
L’evolversi della situazione internazionale ed i nuovi scenari definiti dallo scontro tra Russia e Stati Uniti su Assad induce a riflettere, se sia davvero possibile “Comprendere il caos siriano”. E proprio questo il titolo del libro, scritto a quattro mani da Alexandre Del Valle e Randa Kassis, col sottotitolo “Dalle rivoluzioni arabe aljihad mondiale”.
I due autori hanno certamente le carte in regola per affrontare l’argomento con competenza ed efficacia. Del Valle, editorialista di France Soir e di Atlantico, è ricercatore presso il Center of Political and Foreign Affaire ed al Gatestone Institute. Insegna Geopolitica e Relazioni Internazionali alla Ipag Business School di Parigi ed è autore di diversi libri su islamismo, terrorismo e cristianofobia. Kassis, scrittrice ed antropologa siriana, ha fatto parte del Consiglio nazionale siriano, ma ne è uscita per l’influenza qui esercitata dalle componenti islamiste eterodirette.
Per capirne di più, dunque, in merito all’intricato situazione verificatasi in questa regione del pianeta, abbiamo intervistato uno degli autori, Alexandre Del Valle.
Ma davvero è possibile comprendere il caos siriano?
Certo che è possibile! Non totalmente e non perfettamente, perché nella geopolitica ci sono costanti e variabili, ma, in linea di massima, si può giungere a comprendere le forze in campo sunniti islamisti versus regime nazionalista alawita-baathista secolare, poi i curdi), i loro obiettivi (califfatto globale per gli islamisti fratelli jihadisti. regime nazional-sunnita arabo per gli islamisti fratelli musulmani siriani e altri ribelli; versus Siria plurireligiosa e secolarizzata nazionalista e baathista per il regime e i non-sunniti, Stato indipendente separato o forte autonomia per i curdi), le grandi alleanze (Fratelli musulmani con jihadistd, Assad con hezbollah e minoranze, eccetera) e le grandi logiche di interscambio e di interdipendenze tra le forze locali (pro-regime Assad e minoranze non-sunnite; curdi indipendentisti; ribelli sunniti cosiddetti moderati e jihadisti); le forze regionali (Arabia saudita, Turchia, Qatar per l’asse sunnita; l’Iran, hezbollah libanesi, milizie sciite irachene ed altre per l’asse sciita; le forze internazionali: gli eserciti anglo-americani e francesi per l’Occidente e l’esercito russo per il mondo post-sovietico slavo-ortodosso).
Poi esiste una sorta di “grammatica” geopolitica, cioè coerenze apparentemente contro-natura, ma spiegabili alla luce della strategia ereditata dalla guerra fredda della NATO: ad esempio, l’Occidente pro-sunnita e pro-islamista (come lo fu contro l’Urss durante la guerra fredda in Afghanistan) esita sin dall’inizio ad individuare il proprio nemico principale tra Assad o Da’esh e gli jihadisti: non vuole fare niente che possa aiutare Assad e per questo motivo non smette di criticare l’intervento russo in Siria; poi l’Iran e la Russia, nemici tradizionali in Oriente, vogliono entrambi mantenere il regime alawita-baathista per rafforzare la loro presenza nella regione in funzione anti-sunnita e anti-occidentale; la Turchia neo-ottomana pro-sunnita di Erdogan ha come priorità nazionale quella di contenere l’emergere dei curdi siriani alla propria frontiera (legati ai curdi turchi separatisti e terroristi del Pkk), quindi, pur essendo anch’essa colpita dagli jihadisti takfiristi di Da’esh (si vedano gli attentati in Turchia attribuiti allo “Stato islamico”), Ankara ha molto favorito subito e sino ad un anno fa non solamente tutte le forze ribelli (Esercito Siriano Libero, Nureddine al Zinki, Sultan Murad, Ahrar al Sham, Fronte islamico e anche al-Qaida in Siria – vale a dire, Al-Nusra/Fateh al-Sham, bensì anche l’Isis; questa contraddizione apparente si spiega in quanto la nuova Turchia del “sultano” Erdogan, che insulta l’Europa e si presenta come il “protettore” di tutti i sunniti del mondo, vuol piacere al suo elettorato sunnita turco-islamista ed alla “strada araba sunnita”, nonché soprattutto eliminare o contenere i curdi siriani, che non solamente vorrebbero unire i loro territori est e ovest in Siria, ma offrire anche il loro nuovo Stato libero (Rojava) nel Nord della Siria ai fratelli curdi di Turchia (Pkk), i quali hanno rilanciato la guerra terroristica di liberazione del Kurdistan contro lo Stato turco.
Se aggiungiamo a questo il fatto che l’asse sunnita con il suo leader saudita sta lanciando una guerra globale contro l’asse sciita con il suo leader, l’Iran, attraverso l’Iraq e la Siria, possiamo concludere, dicendo che la complessità principale sta nella presenza di molte guerre dentro la guerra civile siriana, una delle quali è peraltro esterna alla Siria… Quindi, è vero che la situazione è complessa, ma al contempo intelligibile e abbastanza logica, in un’ottica orientale.
Se per i sunniti e per i Cristiani Bashar Assad è il “male minore”, chi, in realtà, ce l’ha con lui?
Non direi che per i sunniti, il male minore sia Bashar Assad, lo è per alcuni sunniti laici pro-baathisti e soprattutto per i Cristiani, gli alawiti, i drusi e gli sciiti, cioè per quelle minoranze odiate e minacciate dall’islamismo sunnita. Ce l’ha con Bachar al-Assad, prima di tutto, l’Asse sunnita integralista, composto dai Paesi del Golfo – Qatar, Arabia saudita e Kuwait, ma non gli Emirati e Oman, anti-Fratelli musulmani -; poi, ovviamente, ce l’ha con lui la totalità delle organizzazioni islamiste radicali sunnite, dai Fratelli musulmani (sponsorizzati dal Qatar, dal Kuwait e anche dalla Turchia) agli jihadisti; e infine ce l’ha con lui la nuova Turchia di Erdogan, che vuol essere il nuovo sultano-califfo, protettore dei sunniti “perseguitati”, senza dimenticare la maggioranza del Paesi occidentali e degli ambienti democratici e neo-conservatori interventisti americani (“Sindrome Clinton-McCain”), nonché gli europei, che vogliono piacere ai loro strani “alleati” sunniti del Golfo e alla Turchia, membro strategico della Nato.
Ma non hanno potuto rovesciare il regime di Bashar al-Assad perchè per la prima volta, dalla fine della guerra fredda, Mosca ha concretamente impedito che si riproducesse un “regime di scambio”, come quello da essa tollerato in Serbia-Jugoslavia, in Irak e in Libia a benefìcio delle forze islamiche radicali. Per Mosca, bisognava che ciò non avesse più a ripetersi, soprattutto laddove la Russia avesse delle importanti basi militari (in Siria come in Crimea).
In Occidente non è ben chiaro chi siano i “buoni” e chi i “cattivi”…
E vero, non c’è né strategia, né visione chiara di chi sia l’amico e di chi sia il nemico. I nostri vertici, schiavi dell’opinione pubblica e della cosiddetta difesa dei “diritti dell’Uomo”, non sono in grado di definire il nemico come tale e ancor meno il nemico principale, poiché mischiano il moralismo interventista e gli interessi energetici ed economici coi Paesi sunniti islamisti del Golfo, che fanno pressioni.
Per questo, dimentichiamo l’aspetto più importante nell’individuazione dell’avversario ovvero le considerazioni “geocivilizzazionali”, neologismo che ho creato per introdurre nuovamente nella geostrategia l’interesse culturale e quindi quella dimensione di “tempo lungo” e di sopravvivenza a lungo termine, che è la civiltà. Inoltre, la visione manichea occidentale, che bolla il nemico come il “male” (anti-democratico) e l’amico come il bene democratico-liberale è molto ipocrita, perché gli stessi che accusano la Siria e la Russia di essere antidemocratici non dicono nulla a proposito dello strano alleato saudita, che lapida e ammazza gli apostati con la crocifissione.
Lo scopo del mio ultimo libro è proprio quello di denunciare l’attitudine “anti-strategica” suicida delle politiche estere e di sicurezza delle democrazie occidentali liberali e mondialiste, attitudine che consiste nel cancellare dalle loro analisi le dimensioni culturali e identitarie, come se il proselitismo neo-imperialista dei “poli dell’islamismo totalitario” (che stanno conquistando da decenni i Paesi musulmani ed anche le aree europee, che accolgono immigrati musulmani) fosse “neutro” e non avesse conseguenze.
Considerare solo gli interessi geo-economici, finanziari, energetici e rimanere accecati dalle vecchie suggestioni, tipiche della guerra fredda, che designano come nemico principale la Russia ortodossa post-comunista e non il progetto di proselitismo islamista sunnita neo-imperiale, che ambisce apertamente a conquistare l’Europa ed il mondo, rende l’Occidente grosso modo nemico di quello che dovrebbe essere il suo alleato contro l’islamismo radicale ovvero la Russia e “amico” di potenze pericolosissime (Qatar, Arabia Saudita, Pakistan, Turchia post-kemalista), impegnate ad alimentare e addestrare il nostro nemico esisenziale, cioè il totalitarismo islamico sunnita.
Questa assurdità geopolitica e questo suicidio strategico, prodotto di una visione “anti-civilizzazionale” e di una “guerra civile” intra-europea, spiega perchè in Siria gli Occidentali atlantisti designino come nemico Da’esh, cioè la parte emersa dell’iceberg islamista e non gli islamisti in generale, ben più importanti, presenti e pericolosi a lungo termine, destinati a sopravvivere alla sconfitta di Da’esh.
Ricordiamo, ad esempio, che l’americano ultra-repubblicano John Me Cain ha appoggiato apertamente gli islamisti radicali di Ahrar al-Sham, al-Qaida in Siria (Fatali al-Sham), Fronte islamico, Nour ai-Din al-Zenki in funzione anti-Assad e anti-russa. Allo stesso modo, l’ex-premier e ministro degli esteri francese Laurent Fabius ha osato, senza vergognarsi, affermare in Parlamento nel 2014 che al-Nusra, ex nome di al-Qaida in Siria, faceva «un buon lavoro» contro il regime di Bashar al Assad.
L’Occidente, in questo campo, ha più volte dimostrato una certa ignoranza… o c’è anche dell’altro?
Direi che si tratta di una nuova forma di “ignoranza volontaria”, si tratta di far vedere una realtà che non esiste, quindi di una disinformazione politica avente per scopo quello di legittimare l’errore sul nemico e sull’amico. Bisogna far credere al pubblico occidentale che le nostre élites mondialiste, alleate alle forze dell’islamizzazione e favorevoli alla distruzione della nostra civiltà tramite l’immigrazione incontrollata ed il multiculturalismo, non sbagliano, si tratta di sdoganarli nelle loro compromissioni con i centri del totalitarismo islamista.
A questo fine, i russi e il regime di Bachar al-Assad che proteggono concretamente i Cristiani d’Oriente e combattono non solo Da’esh ma anche l’islamismo radicale sunnita e i suoi stati padrini, vanno sempre demonizzati, screditati, qualsiasi cosa facciano ed, al contrario, bisogna chiamare “ribelli moderati” i combattenti fanatici sunniti anti-cristiani, che contrastano Bachar e vogliono imporre la sharia, addestrati e finanziati dagli Stati del Golfo, nostri partners privilegiati.
In generale, quest’opera di disinformazione consiste nel far credere che l’islam sia intrinsecamente “pacifico”, che Da’esh e iljihadismo “non abbiano niente a che vedere con l’islam”, che i Paesi musulmani “alleati” del Golfo non siano nemici e che il peggio siano gli “islamofobi”, come i movimenti di Destra sovranisti ed i populisti europei. Ma non credo che i nostri dirigenti credano a queste menzogne. Sono molto ben informati da tante agenzie, dai servizi segreti e dall”intelligence.
Sanno come il peggior nemico non sia Da’esh, bensì l’islamismo con la sua azione di conquista “soft” a colpi di proselitismo, a cominciare dai Fratelli musulmani o dai centri islamici, finanziati dall’Arabia Saudita, centri che da decenni controllano e radicalizzano i musulmani d’Europa. Si tratta di un autentico tsunami planetario, di un virus senza frontiere che sta contaminando la stessa Europa con l’appoggio della globalizzazione, dei media, delle reti sociali e del senso di colpa occidentale, che loro sanno perfettamente rovesciare contro di noi.
L’obiettivo non pare essere solo il regime di Assad: quale la vera posta in gioco?
Nel libro abbiamo voluto sottolineare le contraddizioni e le complicità di alcuni Paesi occidentali, che, in funzione pro-saudita, pro-Qatar e pro-Turchia, hanno appoggiato – come in Libia e prima in Afghanistan, Bosnia, eccetera – le forze dell’islamismo radicale politico contro il regime pro-russo e nazionalista baathista di Bachar al-Assad, esso stesso controllato dalla minoranza sciita-eretica laica degli alawiti. Secondo noi, benché la dittatura di Assad vada condannata, la strategia dell’Occidente atlantista, che facilita l’obiettivo di reislamizzazione concepito dai Fratelli musulmani e dalle potenze islamiche sunnite saudite, del Qatar e della Turchia, è contraria all’interesse delle nostre società aperte giudeo-cristiane e significa la fine di una presenza delle minoranze cristiane nel Medio e nel Vicino Oriente.
La posta in gioco, prima della vittoria dell’outsider Donald Trump, era per l’Occidente fare in Siria quanto fatto in Ucraina: favorire un “regime di scambio”, rovesciare quello pro-russo dell’ex-presidente (eletto democraticamente nel 2010) Ianucovic a favore di un clan politico atlantista e russofobo allo scopo di far perdere a Mosca la sua base militare ultrastrategica in Crimea, penisola storicamente russa. Stranamente, quando Kiev è diventata pro-occidentale dopo la seconda rivoluzione “arancione” dell’ “Euromaidan nel 2014, è stato l’Occidente a difendere le frontiere artificiali e anti-civilizzazionali concepite dai sovietici.
Ma è logico: la Nato vuole indebolire la Russia; perché Mosca non ridiventi un impero in Europa, bisogna separare la Russia dall’Ucraina e farla sparire dal Mar Nero, come ha scritto chiaramente lo stratega Zbigniew Brzezinski nel suo “La grande scacchiera”. Allo stesso modo, la distruzione dei regimi pro-russi libici e iracheni mirava a far perdere a Mosca un vantaggio nel Medio Oriente; per quanto riguarda la Siria, è chiaro come il tentativo dei Paesi atlantisti sia quello di indebolire e rovesciare Assad e di appoggiare le forze islamiche sunnite ribelli, affinché il nuovo regime siriano pro-saudita, pro-Qatar e pro-Turchia, fondato sulla sharia, smantelli l’importantissima base militare marittima russa di Tartus ad ovest della Siria, non lontano delle montagne degli alawiti.
Nei due casi, in Ucraina come in Siria, per la prima volta, la Russia non si è lasciata sopraffare ed ha cominciato a reagire. L’inizio di tale reazione cominciò con la crisi in Georgia. Nel cercar d’indebolire sempre più Mosca, dopo i successi in tal senso in Iraq, nella ex-Jugoslavia ed in Libia, l’Occidente, invece di fermarsi e trovare un accordo, una frontiera comune di mutua non-aggressione con la nuova Russia neo-zarista, credendo di aver vinto la guerre fredda e sottostimando Putin, ha ottenuto l’esatto opposto del proposito inizialmente ricercato: la Crimea è ormai definitivamente in mano russa; le basi russe in Siria sono raddoppiate (Tartus e Hmeimim) e Mosca, in nome della realpolitik, ha rafforzato la propria alleanza pragmatica con Cina e Turchia.
In questo scacchiere, mentre durante la guerra fredda eravamo riusciti ad allearci con Pechino e Ankara contro Mosca, ora è il contrario e Mosca sta voltando contro di noi questi due Stati in funzione anti-occidentale e multipolare. Senza prendere in considerazione l’identità e la dimensione “civilizzazionale” nel senso di Samuel Huntington, se non si sa più chi siamo e se si rinnega la nostra identità, è logico che non si sia più in grado di definire il nemico, soprattutto un nemico come l’islamismo radicale, identitario, religioso, teocratico, asimmetrico e non convenzionale.