Vita e Pensiero n.3 maggio-giugno 2014
Luigi Giussani
Originariamente comparso su «Vita e Pensiero», nel fascicolo del giugno I960, riproponiamo qui un testo del sacerdote e teologo, successivamente docente presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore e fondatore del movimento di Comunione e Liberazione.
«Eine Einfhrüng in die Wirklichkeit», introduzione nella realtà, ecco cosa è l’educazione. La parola “realtà” sta alla parola “educazione” come la mèta sta a un cammino. La mèta è tutto il significato dell’andare umano: essa è non solo nel momento in cui l’impresa si compie e termina, ma anche in ogni passo della strada. Così la realtà determina integralmente il movimento educativo passo passo e ne è il compimento.
«Eine Einfhrüng in die Gesamtwirklichkeit», introduzione alla realtà totale: così lo Jungmann (in Christus als Mittelpunkt religiöser Erziehung, Freiburg im B, 1939) precisa la sua definizione. Ed è interessante notare il duplice valore di quel “totale”: educazione significherà infatti lo sviluppo di tutte le strutture di un individuo fino alla loro realizzazione integrale, e nello stesso tempo l’affermazione di tutte le possibilità di connessione attiva di quelle strutture con tutta la realtà. Lo stesso identico fenomeno, cioè, attuerà e una totalità di dimensioni costitutive dell’individuo e una totalità di rapporti ambientali.
La linea educativa è così innegabilmente segnata in tutto il suo dinamismo essenziale: nelle sue prospettive, nelle sue modalità, nella sua trama di connessioni. Una realtà la condiziona e la domina, la condiziona dalle origini, la domina come fine. Qualunque pedagogia, che conservi un minimo di lealtà con l’evidenza, deve riconoscere e in qualche modo attendere a questa “realtà”: anche il laicismo contemporaneo, per il quale il principio attivo dell’educazione è totalmente immanente nell’individuo stesso, contempla il fenomeno della aberrazione della strada del reale.
Possiamo senz’altro dire che un’educazione ha tanto più valore, quanto più obbedisce a questa realtà, quanto più cioè suggerisce attenzione a essa, ne rispetta le pur minime indicazioni, in primo luogo l’originale necessità di dipendenza e la pazienza evolutrice.
Per l’età più importante nella determinazione della fisionomia personale d’ognuno, la scuola è certo il luogo decisivo, per le scoperte, i contatti e gli sviluppi provocati. Ebbene, soltanto una scuola impostata con una preoccupazione ideologica precisa, il più possibile in connessione con l’ambiente in cui il ragazzo è sorto – una scuola cioè che proponga una definita visione delle cose come sviluppo della tradizione originale dell’allievo, almeno negli elementi fondamentali di essa -, solo una scuola così impostata può normalmente offrire un’educazione intensa e feconda, proprio perché sola può, come norma, provocare una devozione leale all’evidenza dominatrice della realtà e un’intelligente sicurezza nella positività della realtà.
1. In primo luogo essa fonda quel “senso della dipendenza” senza del quale la realtà viene violentata e manipolata dalla presunzione, o alterata dalla fantasia, o svuotata dall’illusione.
A tale senso della dipendenza la scuola libera forma nell’esperienza vera dell’autorità. L’esperienza dell’autorità sorge in noi come incontro con una persona ricca di coscienza della realtà: così che quella si impone a noi come rivelatrice, ci genera novità, stupore, rispetto. C’è in essa un’attrattiva inevitabile e in noi un’inevitabile soggezione. L’esperienza dell’autorità richiama infatti l’esperienza, più o meno chiara, della nostra indigenza e del nostro limite. Ciò porta a seguirla e a farci suoi “discepoli”.
Ma se nell’adulto quest’autorità è riconosciuta e scelta dalla matura responsabilità di un confronto, nelle età precedenti essa è fissata dalla natura stessa nella “realtà originatrice” dell’individuo. La genuina rivelazione della vita e la genuina novità stanno nello sviluppo della dipendenza da questa realtà. La scuola deve essere il più grande servizio a questa dipendenza. Allora il ragazzo (o il giovane) si abitua a riconoscere ciò di cui è fatto perché le sue imprese di uomo saranno tanto più personali, cioè “scelte”, quanto più consapevoli dei dati da cui devono partire e delle strutture di cui devono usare.
Nulla v’è di più antieducativo, quindi di più inaridente l’umano, della concezione laicista nostrana per la quale la personalità sarebbe il termine di una spontaneità evolutiva, senza che occorra alcuna regola o guida oltre se stessi – senza cioè che ci sia qualcosa da cui veramente dipendere: tutto ciò che sta fuori del proprio io non sarebbe che pura occasione per reazioni totalmente autonome. Una simile posizione – quella che determina tutta la concezione della scuola laicista, o di una scuola di Stato “neutra” preoccupata esclusivamente di lasciar l’alunno a un indiscriminato contatto con tutte le ideologie – inceppa interiormente e sfasa la personalità in formazione.
Una personalità infatti aumenta nella misura in cui s’approfondisce una vera libertà di giudizio e una vera libertà di scelta. Ora, per giudicare e scegliere occorre un metro, un criterio. E se esso non è l’affermazione di quella realtà originaria in cui natura ci formula, allora diventa fittizio, come abbiamo accennato prima: non c’è più un confronto intelligente e volitivo di “dati”, ma l’abbandono a una reazione o il soggiacere a una forza esterna, un essere trascinati. L’avvenimento o l’affermazione fenomenicamente nuovi, più sollecitatori di un istinto o di una proclività, meno incomodi per una inerzia, più violentemente impressionanti, più affascinanti come modalità di proposta: tutto ciò determina la presa di posizione del giovane, inevitabilmente bloccato in uno pseudo-giudizio o in una pseudo-scelta. La pretesa autonomia della concezione laicista vive di fatto come alienazione di sé in ogni istante, come abdicazione continua a una vera iniziativa per cedere a una violenza, che non scandalizza i più, solo perché tragicamente furtiva.
Il giovane diventa invece tanto più se stesso, quanto più rimane innanzitutto fedele alla realtà in cui è sorto: nella persona in formazione la vera immanenza è salvata dalla vissuta dipendenza. La scuola libera, in quanto tende a realizzare le preoccupazioni fondamentali dei genitori, aiuta seriamente il giovane a quella rispettosa dipendenza da cui scaturisce la novità personale dell’adulto.
2. L’aspetto più importante, e interessante, di questo punto di partenza, cui la realtà obbliga come condizione di sviluppo equilibrato e normale, è che esso non stabilisce un processo di dipendenza ottuso.
L’autorità, che natura stabilisce e che per il giovane si articola nella scuola liberamente determinata dai genitori, come in un decisivo loro strumento, abbiamo detto essere una ricchezza di coscienza della realtà: tale coscienza funziona per il giovane come una specie di ipotesi esplicativa della realtà. Non ci può essere una scoperta – cioè un passo nuovo, un contatto con la realtà generato dal lavoro della persona – se non per una ipotesi, più o meno clamorosamente riflessa, ma presente e attiva. L’ipotesi di lavoro, in fondo, rappresenta quella certezza e quella positività, senza cui nulla si muove, nulla si conquista. Così non può avvenire quel mirabile erompere di scoperte, quel mirabile seguito di passi e quella catena di contatti che definiscono lo sviluppo, l’educazione di un essere, cioè la sua “introduzione alla realtà totale”, senza un’ipotesi che all’individuo in formazione si presenti adeguatamente solida, intensa e sicura. È la natura che esige questo, con un’analogia perfetta con tutti gli altri suoi campi.
Ed è la natura che per il grande lavoro dell’avvenimento umano presenta la sua ipotesi: la visione del mondo che hanno i genitori o coloro cui i genitori demandano la responsabilità di educare il figlio. Non può esistere una cura del figlio, una preoccupazione della sua formazione, se non nell’almeno vaga e confusa – starei per dire, istintiva – visione di un senso del mondo. La scuola libera introduce il ragazzo alla conoscenza del reale precisando e svolgendo questa originale visione. Perciò essa ha l’inestimabile pregio di educare l’alunno alla certezza nell’esistenza di un significato preciso delle cose. La realtà non è mai veramente affermata, se non è affermata l’esistenza del suo significato. In questo si risolve quell’esigenza assoluta di unità che costituisce l’anima di ogni impresa dell’umana coscienza.
Su di un interessante mensile edito da studenti ho letto con attenzione questi giudizi: «II vero aspetto negativo della scuola è quello di non far conoscere l’umano attraverso i valori che troppo spesso tanto inutilmente maneggia: mentre in ogni azione l’uomo rivela la sua indole, appare ridicolo (o tragico?) che vanamente si percorrano a scuola, attraverso lo studio delle varie manifestazioni degli uomini, alcuni millenni di civiltà senza saper ricostruire con sufficiente precisione la figura dell’uomo, il suo significato nella realtà. La nostra scuola è impostata su di un innaturale neutralismo, appiattitore di ogni valore…
Nozioni inespressive: ecco che cosa il più delle volte la scuola ci da; dispensa se stessa dal darci il significato del reale, causando spesso in noi una incrinatura durevole» (cfr. «Milano Studenti», 1960, 2, p. 13). Da una parte la scuola neutra da le cose senza aiutare a capire il significato, dall’altra la mancata offerta di un significato fa sì che l’insegnante non sia più maestro. Allora l’alunno si erige a maestro di se stesso; codificando le impressioni e le reazioni contingenti, con quella diffusa presuntuosità colma di impertinenza e di chiusi pregiudizi che sì spesso oggi avviliscono la schiettezza e l’apertura propria della giovinezza. È strano che si pretenda scuola ideale quella in cui la funzione dell’insegnamento sarebbe quasi attuabile da un magnetofono: si strappa al rapporto insegnante-discepolo ciò che di più caratteri-sticamente umano vi si trova, l’apporto propriamente personale, la genialità del maestro.
Il genio è testimonianza di una visione del mondo, e quindi sempre è offerta di un’ipotesi di vita. È nella concezione della scuola libera che l’avvenimento del genio trova giustificata la sua espressione, e il genio vi diventa maestro. Solo un’epoca di discepoli può dare un’epoca di geni. Poiché solo chi è prima capace di ascoltare e di comprendere si alimenta una maturità personale che lo rende poi capace di affrontare e di giudicare, fino – eventualmente – ad abbandonare ciò che lo ha alimentato. Il dialogo educativo – come il rapporto di esistenza – non è fatto dalla natura a interlocutori pari: l’uguaglianza è un termine, e la strada è la disponibilità a seguire – seguire un indirizzo preciso -seguirne uno.
Dover camminare, senza indirizzo preciso, è sentito come dispersione di tempo dalla sensibilità di una coscienza viva. E allora si genera quella caratteristica incertezza che impaurisce il giovane, da natura iscritto in un’ovvia esigenza di possibilità chiara, oppure lo confonde come di fronte all’ambiguità, o comunque lo impazientisce perché l’indecisione dell’offerta gli appare istintivamente contraddittoria al richiamo essenziale delle cose – che è richiamo a immediata adesione.
Il risultato di tutto questo è poi quell’indifferenza e quel disamore, quella tremenda carenza d’impegno con la realtà che assume così spesso aria di smarrita o amaramente distaccata derisione per ogni serio invito a quell’impegno. Ogni slancio è come assorbito in partenza. Solo una scuola libera, come luogo di introduzione alla realtà umana e cosmica alla luce di una ipotesi interpretativa precisa, può impedire sistematicamente nel giovane una partenza sconcertata e dissociata proprio per l’incoerenza o la manchevolezza con cui gli si propone la «verità», cioè la corrispondenza tra la realtà e lui, il senso dell’esistenza. E, impedendo questo, solo la scuola libera può lanciare normalmente la coscienza di un giovane nel confronto del reale con serenità e solidità.
3. Ma qui sovviene la tanto declamata affermazione, da parte dei fautori della scuola laica, che per la libertà del singolo ragazzo occorra che esso da solo si formuli la sua unitaria concezione delle cose, e che ciò può benissimo avvenire nell’indiscriminato spontaneo incontro con tutte le teorie. La diversa impostazione ideologica dei vari insegnanti sarebbe proprio la condizione per questa “autoformazione” ad unitaria coscienza.
Invece qui più che mai l’esperienza della vita conferma quello che la natura suggerisce agli inizi. La natura costruisce il singolo uomo con un materiale preciso, in una situazione precisa, con una determinata struttura, con una caratteristica sua movenza, e lo getta nell’universale paragone con questa iniziale formula; l’umana coscienza riplasma poi nel lavoro originale della sua libertà e della sua intelligenza il proprio dato di partenza.
Ma è innanzitutto svolgendo questo dato con rispetto che lo può riplasmare con avveduta saggezza ed energia personale. L’esperienza infatti insegna che il risultato del prematuro confronto con contrastanti idee sui problemi fondamentali dell’interpretazione della vita disorienta il giovane, non lo orienta: il che non è confortante risultato per un’educazione. Ed è amaro sentir dire che tale disorientamento è provocato in senso puramente metodologico, come istante di passaggio critico: perché non ci si avvede (o non ci si vuoi avvedere) che l’essere buttato allo sbaraglio provoca inesorabilmente nel giovane lo scetticismo.
Ciò avviene soprattutto quando il ragazzo si sente contraddetto, senza esservi preparato, nelle idee fondamentali e sicure che aveva ricevute dall’educazione precedente. Nel senso più vero della parola, gli vien fatta violenza, e si sa per lunga memoria dell’umanità che la violenza lascia sempre ruderi, e non costruzioni.
Lo scetticismo poi non è certo un momento di passaggio. Esso lavora uno stato d’animo di fondo, il quale rimane determinante nello sguardo che l’individuo porterà sulla esistenza, e nelle motivazioni delle sue decisioni nei confronti di essa. La vita impone giudizi e scelte: e il giovane ne sente l’urgenza, e darà i suoi giudizi e farà le sue scelte. Ma perduta la sanità di una naturale adesione a criterio oggettivo e universale, esso darà i suoi giudizi e farà le sue scelte abbandonandosi a rigidi preconcetti dettati da idiosincrasie o simpatie istintive, e in base a criteri popolati di visioni anguste o insorti da documentazioni particolari. Lo scetticismo è un fondo d’animo che permane e che praticamente si supera nel fanatismo: nell’affermazione cioè intransigente dell’unilaterale.
A mio parere cadono sotto questa accusa quei giovani che, nel contrasto impreparato e violento, restano nell’ideologia religiosa e morale da cui sono partiti. Ma, per non abbandonarla, essi vi si devono abbarbicare, quasi si ritirano in un arroccamento prudente o impaurito, non lo so, ma certamente senza apertura e respiro verso quell’ambiente da cui si sentono perseguitati. Sembrerà un assurdo: ma la scuola neutra mi pare che tragga una sola conclusione dallo scetticismo che genera: il fanatismo o il bigottismo, fanatismi pro, bigottismi contro.
Forse non c’è punto che chiarisca meglio di questo la genialità naturale della scuola libera. Essa sola, come norma, può creare coscienze veramente aperte, e spiriti veramente liberi. È proprio perché educa all’affermazione di un criterio unico, che essa crea nel giovane un interesse intenso al paragone con le altre ideologie e una apertura sincerissima e simpatetica verso di esse.
Non esiste apertura viva e vera simpatia se non derivano da una, magari inconscia, sicurezza universale. «Se il criterio che tu mi proponi è il vero, in che cosa e perché le altre ideologie non vi consentono? Se l’atteggiamento che tu mi suggerisci è il giusto, in che cosa e perché altri si comportano diversamente?»: sono domande che si smarrirebbero nella coscienza dello scettico, o sarebbero troncate nella coscienza del fanatico, ma che diventano appassionata e attenta avventura di ricerca in chi è educato a sapere che v’è la loro soluzione. Di fatto la scuola libera forma a vera ricerca e a vera critica.
L’accusa di chiusura e di grettezza sempre ha sbagliato il bersaglio: non è alla scuola libera che la si deve lanciare, bensì verso certi modi di realizzarla. Scopo dell’educazione è quello di formare un uomo nuovo, perciò i fattori attivi dell’educazione debbono tendere a far sì che l’educando agisca sempre più da sé e sempre più da sé affronti l’ambiente. Occorrerà quindi da un lato metterlo sempre più a contatto con tutti i fattori dell’ambiente, dall’altro lasciargli sempre più la responsabilità della scelta. Non è questo che si nega: con la scuola libera si afferma solo l’esigenza reale che il ragazzo sia “guidato” ai contatti e alle scelte, seguendo una linea evolutiva determinata dalla coscienza che il ragazzo dovrà essere capace di “far da sé” di fronte a tutto.
4. Ci introduciamo nell’ultima notazione.
Una delle caratteristiche più gravi di una personalità è la “forza della convinzione”: il flusso creativo, l’apporto costruttivo di una personalità nel cosmo dipende da essa, come continuità e solidità. Ora, la convinzione deriva dal fatto che l’idea abbracciata o ricevuta viene scoperta in connessione vitale con le proprie situazioni, pertinente alle proprie esigenze e progetti. La convinzione sorge come una verifica in cui l’idea o la visione di partenza si dimostra chiave di volta per tutti gli incontri, profondamente riferita a ciò che si vive, e quindi luce risolutiva per le esperienze.
Tutta la propria realtà personale si trova così in corrispondenza con quell’idea originaria, che fungeva inconsapevolmente da ipotesi, e a cui tutto l’essere dell’uomo vien fatto devoto dalla sua validità via via sperimentata. Proprio perché è decisa nel proporre una visione delle cose, la scuola libera ha supremo interesse che il giovane si educhi a un paragone continuo non solo con le posizioni altrui, ma anche e soprattutto fra tutto ciò che gli capita e quell’idea offertagli (“tradita” = tradizionale).
L’urgenza di questa sperimentazione personale implica una sollecitazione instancabile della personale “responsabilità” del giovane: perché se l’idea è proposta e una collaborazione offerta dall’educatore, è solo un consapevole impegno del singolo che ne realizzerà il valore e ne sorprenderà la esistenziale validità. La sollecitazione alla responsabilità personale nella scuola libera è ben lontana dall’essere un richiamo astratto – o accademico – a un principio, e più ancora è lontana dal diventare più o meno sottile istigazione a sbarazzarsi di ogni tradizione.
Nella scuola libera la sollecitazione alla responsabilità personale diventa metodo di insegnamento. Non basta che l’alunno senta presente a sé l’annunzio ideale: occorre che renda presente se stesso al valore ideale, “facendolo”. La Parola continuamente annun-ziata dall’insegnamento – in modo ora esplicito, ora implicito – diventa ispiratrice consapevole di vita, paradigma consapevole di azioni. Veritatem fadentes in charitate.
La figura dell’insegnante in un certo vero senso si ritira dietro la figura dominatrice della Verità Unica cui si ispira; e d’altra parte, proprio per il dono della sua testimonianza si iscrive nella memoria dell’alunno con una simpatia acuta e sincera, indipendente – nel suo livello più profondo – dalle stesse sue doti. Per cui abbiamo una gratitudine e un legame ineliminabile al maestro, e pure una convinzione indipendente da esso.
Certo occorre che la scuola libera sia consapevole e coraggiosa di fronte alle sue implicazioni. Ispirare a un’ideologia l’insegnamento, senza che il ragazzo sia invitato e aiutato a un impegno concreto e pratico con quella, produrrà curiosità culturale, se l’ideologia è ben proposta, e lascerà solo una stima razionale; ma la sua traduzione nella vita sarà per i più quella di un tradizionalismo sentimentale, che quella stima varrà a custodire, ma non a tonificare in convinzione.
In particolare la scuola libera ha interesse e necessità a spingere e ad aiutare il ragazzo a impegnarsi ideologicamente nell’ambiente, perché è nell’ambiente che attinge spunti, sollecitazioni e alimentazione la trama di esperienze intime ed esteriori del ragazzo stesso, e quindi è soprattutto nell’impegno con l’ambiente che diverrà chiara la validità dell’insegnamento dato. La valorizzazione sistematica della «responsabilità comunitaria» del giovane è dunque l’indispensabile direttiva pedagogica di una scuola libera, riassuntivo strumento per illuminata convinzione.
Dipendenza, consapevolezza, apertura, convinzione: tali sono le caratteristiche educative che la scuola libera fonda e afferma. Sicurezza e solidità di un impegno personale nella comunità concreta dell’ambiente: tale è il risultato di quell’attività educatrice.