n.88 Dicembre 2020
Sordo agli ammonimenti che, da più parti gli sono stati rivolti , il Vaticano ha rinnovato il patto segreto col governo di Pechino – cioè col Partito Comunista Cinese – riguardante la situazione della Chiesa. Si tratta di un patto pesantemente sfavorevole alla Chiesa. Perché questo debole per la dittatura rossa?
L’Agenzia Asia news del 7 febbraio 2018 informava i suoi lettori della sorprendente dichiarazione che mons. Marcelo Sànchez Sorondo, cancelliere della Pontificia Accademia delle Scienze, faceva al suo rientro dalla Cina assicurando che questo Paese era il miglior realizzatore della dottrina sociale della Chiesa.
Diceva l’ineffabile prelato argentino che ancora conserva tranquillamente la sua importante carica in Vaticano: «In questo momento quelli che realizzano meglio la dottrina sociale della Chiesa sono i cinesi» (…) «Essi tengono al bene comune, subordinano le cose al bene comune». «Ho incontrato una Cina straordinaria: ciò che la gente non capisce è che il principio centrale cinese è il lavoro , lavoro, lavoro. Non c’è altro. Al fondo è come diceva San paolo: chi non lavora non mangia»
«Non ci sono baraccopoli, non c’è droga, i giovani n0n usano la droga. Vi è come una coscienza nazionale positiva, essi desiderano dimostrare che sono cambiati, che accettano la proprietà privata» Poi non si è trattenuto dal fare un paragone persino con gli Stati Uniti, presentati sotto questa luce: «L’economia non domina la politica, come succede negli Stati Uniti, come affermano gli styessi statunitensi. Come è possibile che le multinazionali del petrolio influenzino (Donald) Trump? (…). Al contrario i cinesi, no, essi propongono lavoro e bene comune»
Il presule argentino, che in un incontro internazionale a febbraio 2017 già aveva «difeso con accanimento la Cina dall’accusa di obbligare i trapianti forzati fatti da dottori cinesi suio prigionieri e condannati a morte», questa volta concludeva le sue riflessioni sul gigante asiatico così: «Non si può pensare che la Cina di oggi sia la Cina dei tempi di Giovanni Paolo II o la Russia della Guerra Fredda»
In realtà all’epoca della Ostpolitik di papa Paolo VI e di mons. Casaroli, le cose non erano molto diverse. Anche allora la Santa Sede strizzava l’occhio ad un presunto modello cinese che avrebbe favorito il bene comune. Nell’articolo intitolato “Il suicida va bene, grazie mille” (Folha de Sao Paulo, 8/7/1973), Plinio Correa de Oliveira faceva questo commento alla dichiarazione di un alto funzionario della Santa Sede: «Ha provocato una dolorosa impressione in molti ambienti brasiliani la notizia pubblicata qualche giorno fa dalla Tribuna da Imprensa, di Rio de Janeiro, che il delegato vaticano presso l’Organizzazione Internazionale del lavoro, mons. Silvio Luoni, ha esaltato io modello di sviluppo cinese, ponendolo come esempio di “sviluppo rispettoso dei valori culturali di questo grande popolo”. Il dignitario ecclesiastico ha aggiunto: “Anche tenendo conto dei limiti delle conoscenze, e facendo ogni sorta di riserva sull’ideologia e sul sistema politico cinese, dobbiamo dire che i valori umani e comunitari dei secoli passati non sono stati dimenticati”, tanto che nella Cina comunista “analisi, metodi e realizzazioni rispettano l’essenza di questo patrimonio, nonostante gli eccessi di un entusiasmo rivoluzionario a volte traboccante”»
«(…) Nonostante le “riserve di ogni sorta”, il prelato lascia intravedere che un comunismo autentico, come quello cinese, è compatibile con l’ammirevole eredità tradizionale del popolo cinese. Ciò significa dare del comunismo un’immagine che, oltre ad essere falsa, è propagandistica», concludeva l’eminente cattedratico brasiliano.
La verità è che questo amore per la Cina, che si trascina da così tanto tempo, non è solo “pastorale” ma rivela anche un forte sbilanciamento ideologico e propagandistico in favore di un modello economico e sociale alternativo a quello “malato” dell’Occidente.
Questa simpatia è sopravvissuta alle epoche e ai pontificati e oggi si ripresenta in figure come quella di mons. Marcelo Sànchez Sorondo il quale, in fondo, non è neppure originale.