Anno V Numero 109 del 17 Marzo 2006
Pubblichiamo integralmente il resoconto di Massimo Losito sul Internazionale sul tema “L’embrione umano nella fase del preimpianto: aspetti scientifici e considerazioni bioetiche” pubblicato su Zenit.
La Pontificia Accademia per la Vita (PAV) gia’ nel febbraio del 1997 aveva affrontato il tema dello statuto dell’embrione umano, ma ha sentito l’urgenza di tornare a parlare dell’embrione, nella fase di maggiore debolezza fisica e epistemologica: la fase del preimpianto, prima cioe’ che si annidi nell’utero materno. Per avere un’idea di quanto emerso dal Convegno organizzato dalla PAV, ZENIT ha intervistato il dottor Massimo Losito, Coordinatore accademico del Master in Bioetica presso la Facolta’ di Bioetica dell’Ateneo Pontificio “Regina Apostolorum”.
«Nella prolusione di apertura -ha raccontato Lo sito- il Javier Lozano Barragán [Presidente del Pontificio Consiglio per la Salute, ndr] ha ricordato che “la cultura della morte (intesa principalmente come incapacità di riconoscere ed accogliere la vita) trova in questo soggetto, l’embrione, il suo bersaglio ideale”».
«Qualificato geneticamente, disgregato “a fini terapeutici”, congelato e manipolato perfino nell’identità semantica (pre-embrione) questo piccolo merita tutta la nostra attenzione: cosa o chi è?», si è domandato il porporato.
Il dottor Losito ha quindi affermato che sin dalle prime battute «si è appreso subito che non possiamo considerare l’embrione come un mero cumulo di cellule, a meno che non riserviamo a noi stessi questa stessa riduttiva descrizione».
Quando nasce la vita di una persona?
Losito: «L’inizio della storia di ogni nuovo essere risiede in un processo denominato fecondazione, una storia in parte nota ma per la verità ancora pienamente da decifrare.. Due cellule umane geneticamente incomplete, i gameti maschile e femminile sono teleologicamente alla ricerca reciproca: la loro fusione però sorprendentemente non determina il loro completamento ma anzi ne causa il reciproco dissolversi in una cellula nuova, lo zigote. Questo risulta essere molto di più della loro somma: gameti destinati a vivere poche ore originano un novità organismica che potrà sopravvivere per anni: l’uomo»
Nel corso del Convegno il professor Roberto Colombo ha precisato che “è impossibile determinare il momento preciso dell’inizio, ci ricorda il nanosecondo 0, ma siamo di fronte ad un processo che ad un certo punto, con la fusione delle membrane dello spermatozoo e dell’ovocita, diviene irreversibile; un processo che ha un prima ed un dopo, tra i quali si verifica un salto biologico ed ontologico”. Del resto la nostra esperienza ci mostra che due persone si incontrano, entrano in relazione, si preferiscono e magari si sposano: “Chi può dire quando, in quale momento si sono innamorate? Siamo di fronte ad un “rendez-vous with destiny“, ha affermato la professoressa Gigliola Sica parlando della biologia della fecondazione.
I dati sperimentali ci testimoniano che l’embrione non è affatto un grumo più o meno numeroso di cellule che si moltiplicano solo grazie ad un ambiente favorevole, ma con scarso controllo del proprio destino. Tutt’altro.
Alla fusione dei due gameti, il nuovo essere entra immediatamente in attività, un’onda di ioni calcio determina cambiamenti nelle proteine di membrana per impedire la polispermia, l’ingresso cioè di altri spermatozoi: appare il cartello “riservato”…L’attivazione genica è imminente (nello zigote umano sono attivi almeno 7 geni), la moltiplicazione cellulare intensa e non casuale.
La professoressa Magdalene Zernicka-Goetz ha dimostrato che, sebbene i blastomeri (le cellule componenti di questo primo essere umano) mantengano un completo potenziale di sviluppo, in realtà differiscono l’uno dall’altro, sono già indirizzati verso un particolare destino, pertanto non indipendenti ma “consci” di essere parte di un tutto. Questo avviene già allo stadio di 4 cellule e sembra dipendere da informazioni epigenetiche già portate dallo zigote».
Siamo pertanto di fronte ad un individuo della specie umana, organizzato, capace di autoregolazione e con una finalità intrinseca. Questo individuo è già in grado di relazionarsi?
Losito: «Certo! Si tratta di un individuo che entra immediatamente in relazione con la madre, con un fitto scambio di messaggi chimici, un sorta di dialogo mirato a farsi riconoscere ed accogliere dalla madre durante il viaggio che lo condurrà all’annidamento: l’endometrio materno si trasforma per un breve periodo (la “finestra di impianto”) e si protrude in “uterodomi” sui quali planerà l’embrione. L’embrione stesso depone la propria zona pellucida, si cambia di abito, assumendo il “fenotipo di ancoraggio”e si lega alla madre.
Siamo di fronte a quello che la scienza ha definito il paradosso immunologico della gravidanza: l’embrione già nella fase preimpiantatoria comunica con la madre per farsi accettare, non eliminare pur essendo “altro” da lei. Meccanismi finissimi di regolazione che la natura mette in atto per stabilire un’amicizia materno-embrionale e che invece la libertà e la debolezza umane possono stravolgere e disprezzare, ad esempio con l’uso dell’aborto chimico».
I partecipanti al Convegno quindi non si sono limitati alla descrizione dei fatti biologici, ma si sono interrogati sul valore della vita e sulle tentazioni eugenetiche…
Losito: «Di fronte all’embrione, siamo di fronte ad un essere umano, che nella sua estrema debolezza deve essere tolto dalle provette dei laboratori, dalle mani dei ricercatori e dei politici per essere restituito al suo luogo di accoglienza naturale che sono la madre ed il padre, ha sottolineato con passione la professoressa Marie-Odile Rethoré: ogni essere umano merita per la sua intrinseca dignità l’amore di una famiglia, e non può essere sottoposto ad un giudizio di valore in base alla sua età o al suo stato di salute.
Questo però è quanto sta avvenendo col diffondersi di tecniche di diagnosi preimpiantatorie e prenatali applicate con una mentalità eugenista, ha ricordato il neonatologo Carlo Bellieni. Spinti dalla pressione sociale, dal mito della perfezione e ancor più dalla paura di ciò che è ignoto abbiamo trasformato la scienza genetica in una “polizia genetica” che arresta ed elimina i criminali prima del delitto: gli embrioni vengono qualificati geneticamente e quindi progressivamente scartati se non hanno le caratteristiche che riteniamo vincenti; non si tratta più, ha sottolineato il professor Kevin FitzGerald, di prevenire che gli uomini si ammalino ma di prevenire (eliminandoli) uomini malati.
Una tale deformazione della scienza medica non può portare ad un bene, neanche in chi verrà selezionato favorevolmente, in chi avrà passato il controllo di qualità e pertanto giungerà alla nascita: se un figlio diviene un prodotto come esserne pienamente soddisfatti? Forse se avessimo aspettato qualche mese in più avremmo potuto avere un risultato migliore… inoltre quale libertà in un figlio che non è stato accolto ma voluto per qualche specifica caratteristica, magari per essere una “medicina” che fornisca cellule staminali ad un fratello malato? Quale amore verso un figlio voluto non per sè ma “voluto per”?»
I mass media italiani hanno parlato del Convegno solo in occasione dell’intervento del prof. Marie Le Mèné, suscitando tante critiche per la sua difesa dell’embrione. Ma cosa è accaduto in realtà?
Losito: «Nell’ambito della tavola rotonda , di fronte a tante vecchie e nuove minacce verso l’embrione, Jean-Marie Le Mèné, fondatore e Presidente della Fondazione Jerome Lejeune, ha proposto una strategia integrata tra uomini di Chiesa e mondo laico per difendere l’embrione. Le Mèné ha messo in guardia i presenti circa i tentativi di ridurre “lo statuto dell’embrione a quello dell’animale”. “L’embrione -ha sottolineato- non ha bisogno dello statuto per esistere, egli ha già una sua realtà ontologica”.
“Non e’ necessario essere cristiani per difendere la vita – ha continuato il Presidente della Fondazione Lejeune – ma credo che sia necessario difendere la vita per essere cristiani”. Riflettendo sulle strategie per difendere gli embrioni, Le Mèné ha proposto di sviluppare in ogni diocesi una specie di cellula specializzata nel rispetto per la vita umana, che sia di sostegno all’operatore della pastorale familiare. In campo pubblico, il Presidente della Fondazione Lejeune ha affermato che bisognerebbe “chiedere a tutti coloro che hanno funzione di magistero e responsabilità pastorale che è loro dovere esprimersi prima di ogni consultazione elettorale, almeno una volta l’anno, per ricordare che votare a favore di un candidato che non rispetta l’embrione è una sorta di complicità ad un omicidio”. Per quanto riguarda i politici cristiani, Le Mèné, ha affermato che “non dovrebbero accontentarsi di non votare leggi cattive” ma al contrario “hanno l’obbligo di fare proposte positive e innovative per proteggere l’embrione”.
L’embrione pertanto è da proteggere perchè è uno di noi. Come potrebbe un individuo della specie umana, organizzato, autoregolantesi e capace di relazione non essere una persona umana? La sessione antropologica del Convegno si è posta di fronte a questo interrogativo che appare quanto mai retorico, alla luce di tutta l’analisi fatta. Non reggono le tradizionali obiezioni legate alla gemellarità (che è spiegabile con la situazione del tutto particolare dell’essere umano come essere di frontiera, spirito incarnato) e neppure un mal posto accostamento con San Tommaso.
Risulta chiaro ha affermato il professor Mario Pangallo, che l’affermazione di una personalità nell’embrione non è contraria alla metafisica tomista, e che il pensiero dell’Aquinate si spiega perfettamente con le errate concezioni embriologiche dell’epoca. Così il professor Robert Spaemann ha ricordato che non possiamo considerare l’embrione come “qualcosa con alcune capacità” ma sempre come un “qualcuno”
Infine, monsignor Willem Jacobus Eijk, Vescovo di Groningen, ha concluso analogamente affermando che “benchè sia impossibile dimostrare empiricamente una presenza personale dal concepimento, la riflessione filosofica sullo stato bioantropologico dell’embrione umano indica una incongruenza dell’umanizzazione indiretta o graduale con la visione dell’individuo umano come una unità sostanziale di spirito e corpo”.
Il Convegno si è pertanto rivelato di estrema importanza soprattutto ricordandoci la necessità di un metodo di lavoro e di conoscenza aperto alla realtà e disposto, come ha affermato in udienza il Santo Padre Benedetto XVI, ad intraprendere l’avventura impegnativa del “procedere oltre”. Quando usiamo un microscopio dobbiamo chiudere un occhio, ma e’ con l’occhio aperto che dobbiamo guardare.