Marina di Pisa venerdì 26 novembre
Prof. Giulio Soldani, Ordinario di Farmacologia e Tossicologia all’Università di Pisa
Corrado Galluzzi, Presidente Ass, “Gruppo Il Ponte”
– trascrizione riveduta dai relatori –
Le vecchie droghe, l’oppio, in primis, e l’eroina che è un suo derivato, sono in declino; erano le cosiddette droghe della solitudine, dell’individuo che tendeva a isolarsi, a rifiutare la società. Le nuove droghe sono le invece le droghe della ricerca della felicità, della compagnia, dell’eccitazione. Quindi particolarmente preoccupante è oggi la fortissima diffusione di queste droghe eccitanti.
Penso che, se mi recassi in giro per le strade ad intervistare i passanti chiedendo cosa sanno a proposito delle droghe, il 99% delle persone mi risponderebbe che esistono droghe leggere e droghe pesanti. Perché questa grossa confusione? Perché si continua a sostenere questo non senso tossicologico: cioè che esistano droghe leggere.
In tossicologia non esiste niente di leggero. La tossicologia, che ha sempre accompagnato l’uomo, è quella scienza che studia le sostanze che danno luogo a fenomeni di tossicità. Paracelso, alla fine del ‘400, inizi del ‘500, diceva “Non esiste niente in natura che non sia tossico, è solo la dose che fa sì che una cosa sia più tossica o meno” (“Omnia venenum sunt: nec sine veneno quicquam existit. Dosis sola facit ut venenum non sit”).
La classificazione in droghe leggere e pesanti non ha fondamenti scientifici ed è pertanto fuorviante. E vedremo in dettaglio più avanti che quella che viene comunemente considerata la droga leggera per antonomasia,la cannabis, è tutt’altro che leggera.
La tossicodipendenza deriva da tre fattori: la sostanza, il consumatore e l’ambiente sociale.
Primo fattore: la sostanza. Stasera vedevo in televisione l’allarme per l’epidemia influenzale; il virus, (nel nostro caso la sostanza d’abuso) non ha su tutti gli stessi effetti, perché c’è chi ha, ad es., maggiori resistenze e chi ne ha di deboli. Il vaccino poi serve per aumentarle.
Quello che è stato fatto nei confronti delle droghe è stato un atto di anti-vaccinazione. È stato fatto credere che esistevano sostanze “leggere” e che i giovani pertanto potevano usarle senza correre alcun rischio. Ed invece chi aveva difese minori ha contratto la malattia (tossicodipendenza).
Secondo fattore: il consumatore. È molto considerato nel disegno di legge in discussione in Parlamento dove si parla diffusamente di prevenzione, recupero, ma anche, e giustamente, di repressione.
Come si fa a prevenire? Lo si fa anche diffondendo una buona cultura sulla tossicodipendenza, combattendo i luoghi comuni sulle “droghe leggere e pesanti” e facendo sì che i dati della scienza vengano diffusi anche nell’opinione comune. Opinione comune che, come sempre, non è frutto di idee che calano naturalmente in un ambiente, ma di idee che vengono diffuse ad arte nella società per favorire la nascita di un tipo d’uomo fragile ed indifeso, facilmente plasmabile dalle ideologie della morte. A questo fine si pubblicavano nel periodo post ‘68 libri come “La marijuana fa bene” del sociologo Guido Blumir.
Terzo fattore: l’ambiente sociale. Qui vado al di là delle mie competenze che sono di tipo farmaco-tossicologico. Il consumatore va considerata una persona sempre più indifesa che vive in un ambiente che lo spinge sempre più al consumo di queste sostanze. È vero che nella società ci sono sempre stati gruppi che facevano ricorso a sostanze per aumentare le proprie capacità mentali. Si trattava tuttavia di gruppi ristretti, mentre adesso siamo in piena epidemia. Epidemia come quella influenzale che, in certi periodi è limitata perché trova una popolazione protetta, ad es., dai vaccini, mentre in altri periodi si sviluppa sotto forma di una vera e propria pandemia perché trova una popolazione impreparata e senza difese.
Oggi l’ambiente sociale difende sempre meno, spinge sempre di più le persone a ricercare qualcosa per aumentare le proprie forze. Il giovane dice “se tiro” la cocaina riesco a stare 24 ore sempre allegro e attivo; se prendo la pasticca di ecstasy potrò ballare di più e sarò più brillante. Questo sottovalutando i danni fisici e psichici che l’assunzione di queste sostanze comporta.
Cominciamo ora a classificare le droghe d’abuso. Cercherò di elencarvi in rapida sintesi quali sono le principali vecchie e nuove droghe, proponendovi una classificazione, e descrivendone gli effetti acuti e cronici che provocano nel soggetto che ne fa uso.
Tutte le droghe d’abuso possono essere distinte in down, cioè che mandano “in giù” il soggetto che le assume e che vuole isolarsi dall’ambiente in cui vive (ad esempio tutti gli oppiodi), e high, che tendono a innalzare il tono dell’umore o le prestazioni fisiche e/o psichiche di chi le assume.
Nel Rapporto recente di cui vi parlavo all’inizio, le droghe down sono quelle che provocano ancora oggi i maggiori danni e sono quelle alle quali è collegata tutta la discussione sulla terapia con il metadone e sulla cosiddetta riduzione del danno. Al tossicodipendente viene somministrato il metadone perché non vada più a cercare l’eroina. Non è tuttavia un modo corretto per risolvere questo grave problema perché sarebbe come dire all’alcolizzato che beve due fiaschi di vino al giorno: beviti una bottiglia di whiskey.
L’azione del metadone sul sistema nervoso è simile a quella dell’eroina per cui per il tossicodipendente cambia poco. La filosofia della riduzione del danno è quella di evitare che il tossicodipendente provochi problemi alla società in cui vive (atti di delinquenza) nella sua ricerca dell’eroina. Nello stesso tempo però il soggetto viene considerato irrecuperabile, non guaribile: una sconfitta della società su tutta la linea.
Nella nostra classificazione, troviamo poi le droghe high che sono quelle che tengono il soggetto in alto: la cocaina è la più nota droga high.
Apro una parentesi su una delle favole che circolano comunemente tra la gente: basta dire che un prodotto è naturale perché la gente pensi di poterlo prendere senza correre alcun rischio. Ai miei studenti dico invece: ricordatevi che il povero Pantani è morto a causa di un prodotto naturale.
La cocaina viene estratta da un arbusto (Eritroxylon coca) che cresceva spontaneamente e che oggi viene coltivato in alcune zone del Sud America. Gli Indios ne masticavano le foglie e non sentivano più il sonno, la fame e la fatica, manifestando anche una lucidità mentale maggiore.
La cocaina è una delle sostanze in aumento, come diffusione, essendo una droga high, che innalza il tono dell’umore, potenzia il senso di autostima, ecc., ma che provoca una serie di danni gravissimi sia acuti che cronici sul sistema nervoso centrale e su quello cardio – vascolare.
E pensate che fino ad una diecina anni fa la cocaina era ritenuta una droga “leggera”. Qual’era la distinzione che veniva fatta. Cosa deve essere definito pesante? Pesante è una sostanza che dà dipendenza fisica, il soggetto è dipendente, non ne può fare a meno; quando il dipendente smette di assumerla ha una crisi di astinenza perché l’organismo si è abituato a quella sostanza e non è possibile interromperne bruscamente l’assunzione. Le droghe invece (ad esempio la cocaina e la cannabis che non danno o danno scarsa dipendenza fisica) potevano essere considerate droghe leggere.
Oggi il concetto è completamente cambiato perché la dipendenza fisica si può correggere abbastanza facilmente, mentre la dipendenza psicologica si combatte peggio. Negli studi sperimentali sull’animale, questo viene inserito in una gabbietta con un cateterino endovena attraverso il quale si può autoiniettare, premendo un pulsantino verde, acqua e zucchero.
Al contrario, se preme un pulsantino rosso si può autoiniettare la sostanza d’abuso. L’animale, dopo pochi tentativi, sceglierà sempre la sostanza d’abuso. Ed è ovvio, perché si tratta di sostanze che gli danno gratificazione determinando la liberazione di un neurotrasmettitore, la dopamina in una particolare area del cervello.
Tutte le sostanze d’abuso agiscono con questo meccanismo: liberare la dopamina che serve per star bene ed è ovvio, pertanto, che sia gli animali che l’uomo preferiscono le sostanze che portano alla sua liberazione. Nell’animale, dopo un periodo di dipendenza fisica, si comincia a diminuire la concentrazione della sostanza nella flebo in modo scalare, non brusco, fino a disintossicare del tutto l’animale (disintossicazione fisica).
Però se lo rimettete, dopo qualche giorno, nella stessa situazione sperimentale, l’animale andrà subito a premere compulsivamente il pulsantino rosso (dipendenza psicologica).
Questo serve a spiegare che la chiave che tiene il soggetto legato alla sua dipendenza è fondamentalmente una dipendenza psicologica, che oggi si chiama craving o desiderio compulsivo. Nell’uomo è stato riportato che soggetti, che si trovano a passare davanti ad una discoteca o a una villa dove c’è stato un party e dove si è tirata la cocaina, sentono un desiderio fortissimo di coca.
Tutte le sostanze d’abuso, senza distinzione alcuna, liberano dopamina, la molecola del piacere.
Dalla cocaina, durante la seconda guerra mondiale, si passa alle amfetamine, utilizzate dai piloti di guerra durante le loro missioni. Gli effetti sono eccitanti, simili a quelli della coca; ed anche gli effetti collaterali sono simili.
Dalle amfetamine poi arriviamo ai giorni nostri dove si è assistito al diffondersi di droghe definite designer drugs o droghe d’autore, la più nota delle quali è la metilen-diossi-metamfetamina o ecstasy. Sul mercato ce n’é un’infinità, dal momento che il loro costo di produzione è molto basso. I danni che provocano sono simili a quelli della cocaina; inoltre è stato dimostrato, sia nell’animale da esperimento che nell’uomo, che il loro uso cronico porta a danni irreversibili sul sistema nervoso centrale.
Oggi si assiste ad una diffusione in continuo aumento di droghe high e di cannabis.
La cannabis è un po’ un mix di tutto questo, perché dà un senso di dispercezione, mentre a dosi più elevate eccita. L’hascish, che è un derivato a più forte concentrazione di cannabis, veniva assunto da una setta, gli Assassini, per aumentarne il coraggio.
Ormai la maggior parte degli equivoci nasce proprio sull’uso della cannabis: molti infatti dicono che uno spinello non fa male a nessuno, anzi può far addirittura bene. Da quando è stato dimostrato che i derivati della cannabis hanno alcune azioni farmacologiche e che se ne può fare un uso medico, molti hanno rivalutato questa droga. Questa tuttavia non è una ragione per legalizzarne l’uso; bisogna ricordare a queste persone però che si fa un uso medico anche dell’oppio, però non si può mettere l’oppio nelle tabaccherie. Si estrae dall’oppio quello che serve per combattere il dolore e lo si utilizza sotto stretto controllo medico. Che è ben diverso dal: sale, tabacchi e marijuana.
La cannabis è la sostanza d’abuso più diffusa, è un trend in ascesa, dall’Osservatorio Permanente sulle Droghe arrivano segnali preoccupanti di un consumo in forte aumento, quindi quello che preoccupa è un uso che diventa sempre più pesante. Un bicchiere di vino al giorno non fa male a nessuno, una bottiglia di wiskey al giorno fa diventare alcolizzati.
I derivati della cannabis si ottengono da una pianta, la Cannabis indica, e sono rappresentati da una serie di principi psicoattivi (almeno 400) contenuti in ogni sua parte, anche se le concentrazioni maggiori si trovano nelle infiorescenze. Il più importante di questi principi attivi è il delta9-tetraidrocannabinolo che è la sostanza responsabile della maggior parte degli effetti psicoattivi.
Un altro grosso problema è rappresentato dal fatto che oggi si stanno facendo alcuni incroci botanici che hanno portato alla formazione della cosiddetta canapa rossa che contiene anche concentrazioni 10 volte più alte di principi attivi rispetto alle varietà tradizionali. Quindi anche pochi spinelli possono dare una serie di effetti importanti.
Quali sono i più importanti effetti sull’uomo dei derivati della cannabis?
I derivati della cannabis sono molto lipofili e visto che il cervello è costituito per la maggior parte da grassi il delta9-tetraidrocannabinolo arriva subito e non viene eliminato facilmente, ma tende ad accumularvisi. Si accumula nell’organismo e si ritrova anche a mesi di distanza dall’ultima assunzione. Molta dell’instabilità che si riscontra oggi nei giovani può quindi derivare anche da questo. Ad es., la cosiddetta la sindrome amotivazionale, sindrome caratterizzata da apatia e indifferenza nel giovane, può derivare anche da un uso abbastanza abituale di queste sostanze che si accumulano nell’organismo.
La cannabis ha ed apre alcune sue proprie serrature nel cervello. Cosa vuol dire questo? Se noi prendiamo un farmaco, questo agisce su recettori caratteristici (serrature) tipici per quel particolare farmaco. Il cervello ha centinaia di miliardi di neuroni, migliaia di miliardi di sinapsi e tutta la comunicazione tra un neurone e l’altro avviene attraverso neurotrasmettitori.
Anche la cannabis ha i suoi recettori (cannabinoidi 1 e 2, presenti nel sistema nervoso centrale e nei neuroni periferici), non è un’erba innocua, ma modifica molte funzioni dell’organismo. Da qui si spiegano tutti gli effetti che la cannabis ha sul sistema nervoso centrale, sull’apparato cardiovascolare, sul sistema endocrino, respiratorio, immunitario e riproduttivo.
Dal fumo aspiriamo dal 2 al 50% di principio attivo in funzione del tipo di sigaretta che è stato fatto; l’effetto compare dopo pochi minuti, ha un picco dopo 10 minuti, dura due tre ore. Il delta9-tetraidrocannabinolo è una molecola a lunghissima emivita – giorni – , tende ad accumularsi nell’organismo e può portare ad una intossicazione di tipo cronico.
Sul sistema cardiocircolatorio si assiste ad aumento della frequenza cardiaca e della pressione arteriosa, marcata irrorazione congiuntivale (occhi rossi), aumento del consumo di ossigeno da parte del miocardio.
Sull’apparato respiratorio il fumo dello spinello sembra molto più cancerogeno del fumo di tabacco. Sul sistema nervoso centrale gli effetti sono già evidenti con due – tre sigarette.
Cosa viene compromesso? Le percezioni, l’attenzione, l’elaborazione dell’informazione e tutto questo viene potenziato dall’alcool. Questi effetti acuti durano dalle 4 alle 8 ore. La cannabis ha anche effetti su umore, memoria, rilassamento, sensazione di benessere, riso spontaneo. Poi compare sonnolenza e, quello che è estremamente importante, compromissione dei processi della memoria.
Questo è particolarmente importante per gli studenti: si studia, si fuma e quello che si è studiato non resta impresso nella memoria. Non vengono attivati i meccanismi della memoria che risultano invece bloccati dalla cannabis.
I fumatori di spinelli hanno anche alterata cognizione del tempo, della coordinazione motoria, della postura e, a dosi elevate e protratte per lunghi periodi di tempo, allucinazioni, ed effetti dispercettivi – si vede quello che non c’è, si sentono i colori, si vedono i suoni, con tutti i meccanismi di integrazione e di trasmissione degli impulsi nervosi che risultano alterati.
Per arrivare poi a situazioni di ansia, panico, psicosi tossiche fino a quella, importantissima nell’uso cronico, che è la sindrome amotivazionale con il giovane che diventa apatico, torbido, con ridotta capacità di concentrazione e di giudizio, fino alla perdita di interesse verso la propria persona e verso l’esterno.
L’ultima cosa di cui vi volevo parlare a proposito della cannabis, riguarda la dipendenza.
Mentre in passato si pensava che la cannabis non desse dipendenza, ora si è visto che, ad alte dosi, si comporta come le altre droghe e le altre sostanze d’abuso, anche se i disturbi sono abbastanza modesti, perché la dipendenza è, come già detto in precedenza, più di tipo psicologico che fisico.
Oggi tuttavia è opinione diffusa che quello che tiene l’individuo legato alla sostanza d’abuso è la dipendenza di tipo psicologico. La disintossicazione fisica, gli alcolisti, ad es., possono averla fatta anche quattro o cinque volte, ma il problema vero per cui il soggetto ricade è di tipo psicologico. Tutte le sostanze d’abuso danno quello che viene definito un rinforzo negativo (stato di malessere quando la sostanza d’abuso manca da tempo: astinenza), ma è presente anche il rinforzo positivo (il ricordo del benessere legato all’assunzione della sostanza) che è poi quello che tiene legato il soggetto alla sostanza stessa.
Un punto su cui bisogna essere fermi è che non esistono droghe leggere o pesanti. Il Consiglio Superiore di Sanità ha prodotto recentemente un bel documento presentato dal Professor Silvio Garattini, dove si dice che la prima via da percorrere per tentare di vincere questa battaglia è convincere la gente che non esistono droghe leggere o pesanti. Esistono effetti tossici leggeri o pesanti, che dipendono sì dalla sostanza, ma anche dalla dose assunta dal tossicodipendente, e nelle sostanze d’abuso non c’è niente di leggero o di pesante perché tutte agiscono attraverso gli stessi meccanismi.
Un ultimo problema è rappresentato dal passaggio (droga ponte) dall’uso di cannabis ad altre sostanze d’abuso. Non è vero che non esiste il passaggio da una droga ad un’altra. Esiste anche negli animali, figuriamoci nell’uomo, dove si vanno a cercare sensazioni sempre più forti.
Recenti studi fatti su un numero elevato di tossicodipendenti dimostrano chiaramente che un numero molto elevato di consumatori abituali di cannabis in età giovanile passa con facilità in età adulta all’uso di altre sostanze d’abuso.
La nostra è, prima di tutto, una battaglia di linguaggio dove bisogna combattere l’uso della distinzione tra droghe leggere e droghe pesanti. Importante è vincere questa battaglia, perché l’averla persa ha portato centinaia di migliaia di giovani in Europa a diventare consumatori “pesanti” di una droga definita superficialmente “leggera”.
La battaglia va fatta pertanto contro tutte le droghe, perché non c’è solo la sostanza, c’è anche l’ambiente sociale e il consumatore. E in questa battaglia saremo aiutati anche da leggi che comportino sia la prevenzione sia la repressione.
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CORRADO GALLUZZI Sono presidente dell’Associazione “Gruppo Il Ponte”, un’associazione di genitori che vogliono aiutare i tossicodipendenti ad uscire dalla droga attraverso le terapie comunitarie.
Dal 1992 siamo i referenti di due comunità: quella di San Patrignano e quella di San Maurizio. Quest’ultima si occupa di doppia diagnosi cioè di tossicodipendenti con patologie psichiatriche o disturbi psichici.
La nostra è un’esperienza di tipo sociale e con questo non vogliamo dire di non considerare utile quanto detto in precedenza dal prof. Soldani, anzi, la nostra esperienza ci porta a condividere le esperienze di quanti impostano il recupero tenendo conto della persona nella sua globalità.
Recuperare la persona, quindi, dal punto di vista medico, educativo, psicologico, integrando due grandi aree, quella terapeutica e quella socio-educativa.
Chi segue questo metodo integrato (che richiede tempi medi di circa 3 anni) ha il più alto numero di risultati positivi ,di recupero dalla tossicodipendenza. Questo è dimostrato dalle ricerche di alcune università italiane.
La nostra associazione, facendo leva su questi principi, si comporta in questa maniera: il tossicodipendente che si avvicina a noi fa presente la sua situazione e noi operiamo per fargli prendere coscienza delle cause della sua realtà e quindi motivarlo e orientarlo al cambiamento.
Cioè operiamo per fargli riconosce che ha un problema e che è incapace di uscirne con le sue sole forze, come dimostra la sua esperienza di vita, e quindi che ha bisogno di aiuto. Questo è un presupposto che in medicina chiamano presupposto terapeutico: riconosco di avere una malattia e vado dal medico.
Questo è il lavoro che noi facciamo. In questo lavoro noi incontriamo molte resistenze perché il tossicodipendente, dal punto di vista strettamente psicologico, ha una personalità notevolmente modificata. Ha una personalità frammentata ormai, non ha relazioni corrette con gli altri, è egocentrico, arrogante, presuntuoso. Sono caratteristiche comuni a tutti i tossicomani ,anche se poi ogni persona ha una propria storia una propria individualità.
L’uso di queste sostanze porta a questi tratti comuni che sono poi la “fregatura” del tossicodipendente.
Specialmente la presunzione. All’inizio il tossicodipendente dice: “Io smetto quando voglio”,cioè si stacca dalla realtà, comincia a perdere la capacità di critica. Presunzione che vale per l’assunzione di qualsiasi tipo di sostanza, anzi, sostanze tipo l’ecstasy non vengono considerate da molti giovani droghe che non danno dipendenza.
Poi il tossicodipendente comincia ad usarne sempre più frequentemente aumentando la quantità quotidiana . Questa sono i comportamenti determinati dalla dipendenza.
Quando viene raggiunto questo stadio il tossicodipendente è disposto a fare qualunque cosa per procurarsi la droga. Furti,scippi, spaccio,prostituzione, rapine truffe sono i reati più comuni commessi dai tossicodipendenti.
E’ chiaro, quindi, che la droga rende prigionieri, schiavi e per questo è impossibile affrancarsene da soli. Occorrono luoghi e persone specializzate, come per esempio le comunità terapeutiche .
Come dicevo precedentemente, l’intervento riabilitativo non è possibile avviarlo finché l’interessato non riconosce di avere bisogno di aiuto per cambiare vita.
La nostra associazione ha proprio il compito di ricercare e stimolare la motivazione al cambiamento; ma fondamentale è la famiglia che ha sua disposizione tutti i mezzi necessari per indurre il tossicodipendente a decidersi di intraprendere il percorso del recupero.
Il secondo aspetto che vediamo nella nostra esperienza è che il recupero di tipo comunitario è importante, in quanto in comunità c’è la possibilità di affrontare tutti gli aspetti di una persona, non solamente l’aspetto medico, che pure deve esserci. Ma dovrà essere ricostruita la capacità di questa persona di conoscere sé stesso e ,poi, di relazionarsi con gli altri. Dovrà imparare il rispetto verso sé stesso, verso gli altri. Dovrà riacquisire i valori naturali della convivenza fra uomini cioè l’amicizia, la lealtà, la solidarietà, ecc. . Cioè divenire responsabili.
Questo obbiettivo educativo necessita di tempi lunghi e non uguali per tutti per essere acquisito .
Una volta che la persona è riuscita a raggiungere questi obiettivi di crescita personale, di maturità, occorre darle gli strumenti necessari per il suo prossimo inserimento sociale. A questo scopo viene attivata la formazione professionale secondo l’inclinazione e l’interesse dell’ormai ex “tossico”
Questo è il “lavoro “ che fanno le comunità a cui facciamo riferimento.
Credo che questi incontri, come quello di stasera, servano anche a spiegare come funziona il sistema che si occupa di tossicodipendenza.
L’intervento terapeutico che ho illustrato, non è l’unico che esiste nel nostro paese, ma ne esistono altri, ad esempio esistono gli interventi, a cui ha già accennato il prof. Soldani, di riduzione del danno. Questi interventi sono esclusivamente di tipo medico che, nell’ambito delle tossicodipendenze sono, a mio avviso, molto discutibili, perché prevalendo l’impostazione medica, che in alcuni Servizi Pubblici diventa psichiatrica, gli aspetti psicologici , sociali, pedagogici vengono considerati secondari . Questo porta alla prevalenza dell’utilizzo dei farmaci sostitutivi delle droghe (metadone cloridrato buprenorfina) associati quasi sempre a psicofarmaci.
Nelle strutture dove prevale la pratica della riduzione del danno, gli inserimenti in comunità sono bassi, perché viene considerato un intervento marginale mentre vengono privilegiati quelli ambulatoriali. Per esempio al 30 ottobre, il Sert di Pisa, su 1032 tossicodipendenti ne ha avviati in comunità solo 49, nemmeno il 5%.
La mia associazione essendo referente di due comunità di carattere nazionale e operando in due strutture carcerarie è in contatto e collabora con diversi SerT toscani e per questo posso dire che non tutti i servizi hanno le stessa impostazione . Sempre per stare all’esempio precedente in tema di comunità il Ser.T. di Livorno nello stesso periodo ha avviato alle comunità molti più utenti rispetto a Pisa, sia in numero assoluto che in percentuale . Queste differenze sono riconducibili certamente all’esperienza clinica che ogni specialista fa nei servizi ma spesso a scuole differenti che esistono in questo campo .
L’impostazione a cui noi facciamo riferimento, quella della terapia integrata, e l’esperienza diretta ci insegna che i farmaci metadone, buprenorfina, psicofarmaci e altri possono essere strumenti validi se utilizzati per “agganciare” il tossicodipendente per poi indirizzarlo verso programmi integrati di recupero. Infatti è una delle cose che noi facciamo per aiutare il tossicodipendente ad arrivare alle nostre comunità.
Quindi per noi la riduzione del danno in alcuni casi può essere uno strumento ,ma mai un fine , come purtroppo lo è per alcune strutture pubbliche e del privato sociale.
Alcuni critici della cultura dei valori a cui noi e le nostre comunità fanno riferimento , ci accusano di avere un approccio etico al problema droga. Posso dire che così non è . Basta pensare alle azioni concrete che ho prima illustrato ed ai suoi risultati. Ma vorrei ricordare ai nostri avversari che noi teniamo ben presente che la legge oggi in vigore ( la 390/90 ,la famosa Jervolino-Vassalli ) anche con le modifiche apportate dal referendum del ’93, ha come fine il recupero della persona nella sua globalità non il mantenimento nello stato di dipendenza. Quindi un principio etico.
Una volta, fino all’inizio degli anni ’90, sul tema delle tossicodipendenze si discuteva, si dibatteva, nelle scuole, dappertutto. Oggi è rimasta una cosa da addetti ai lavori. Il problema della droga è come scomparso . Però allo stesso tempo è stata portata avanti una cultura della droga allo scopo di fare accettare alla società il problema che la drogo è uno dei tanti consumi dei giovani o al peggio e una delle tante malattie sociali della modernità.
Lo slogan “fatti furbo”, che io considero famigerato, sbandierato in TV e su manifesti di 5 metri è stato forse il più eclatante esempio di questo tentativo. E’ stato un invito esplicito a farsi, cioè a drogarsi con intelligenza, in sicurezza igienica ecc. Si, proprio come un qualsiasi oggetto di consumo farmaceutico . Un messaggio in perfetta linea con i principi di riduzione del danno e per questo privo di una indicazione educativa che dica ai giovani : non drogativi perché vi rovinate la vita.
Messaggio che invece è esplicitamente dato nelle campagne governative di informazione contro l’uso di droghe in essere negli ultimi anni e che hanno fatto tappa nella nostra città tre volte .
L’ultima cosa di cui voglio parlare e è che la tossicodipendenza significa, dolore tragedie per il tossicodipendente ma anche per tutti coloro che vivono con lui . All’inizio c’è l’aspetto euforizzante però poi con gli anni c’è tanta sofferenza con depressione, frustrazione perché l’individuo vorrebbe uscirne ma non ci riesce. Ma insieme a questo quadro c’è un altro che riguarda la famiglia al quale viene vessata da continui richieste di denaro , di furti domestici, spesso sottoposta a violenza fisica oltre che psichica. .Alla lunga le Famiglie si spezzano e poi ,anche in caso di recupero , è difficile ricostruire i rapporti.
Quando qualcuno rivendica il diritto, il principio liberista, che drogarsi è un diritto perchè ciascuno può fare quello che vuole su sé stesso; bisogna ricordargli non è vero che non ci sono conseguenze sugli altri come dimostra la situazione delle famiglie di tossicomani.
Ho voluto tenere per ultimo questo elemento culturale (che meriterebbe di essere ampliamente sviluppato ,ma ci porterebbe lontano) perchè, tutti: politici, operatori, famiglie e cittadini dovrebbero impegnarsi , come in passato , per contrastare queste culture permissive incapaci , per loro natura , di fronteggiare la divulgazione della cultura della droga , il suo abuso ed evitare i drammi, sia per il singolocce a per i gruppi di cui abbiamo parlato stasera.
Quando qualcuno dice che la droga distrugge la coesione sociale dice una grande verità.
Intervento del dott. Mario Ghiozzi, psichiatra
(invitato a parlare dal prof. G. Soldani)
Faccio lo psichiatra da trent’anni e non mi sono mai occupato direttamente di problemi legati alle tossicodipendenze anche perché si tendeva, agli inizi del problema droga, come del resto in parte si tende anche oggi, a tenere distinti i due campi: da una parte la malattia mentale e dall’altra l’abuso di sostanze. Questo per varie ragioni, spesso gli psicofarmaci vengono etichettati anche loro come droghe, mentre invece lo psicofarmaco va a colmare delle lacune nell’individuo a differenza delle sostanze di abuso che sono un qualche cosa in più.
Da una decina d’anni a questa parte cominciamo ad avere il problema della doppia diagnosi, cioè stanno aumentando in maniera vertiginosa i soggetti che hanno problemi mentali e problemi di abuso di sostanze.
Questi soggetti non sono tutti uguali, alcuni potevano rimanere sani tutta la vita, ma hanno raggiunto una soglia oltre la quale scatta la patologia. Un tipico esempio è quello dell’epilessia: tutti siamo dei potenziali epilettici, se uno viene stimolato in una certa maniera arriva a delle convulsioni, ognuno ha la sua soglia oltre la quale queste si scatenano. Così si può concepire anche la malattia mentale: ognuno ha una soglia che potrebbe raggiungere e oltre la quale si entra nella patologia.
La droga, a volte, abbassa questa soglia di ingresso nella malattia mentale.
Altri casi sono dovuti a individui che in preda alla malattia mentale si automedicalizzano con le droghe.
Il dato di base che deriva da questa esposizione così schematica è che sono in aumento le doppie diagnosi che comportano problemi enormi; curare uno che ha una schizofrenia con abuso di sostanze diventa veramente difficile.
Anch’io concordo con quanto sottolineava il prof. Soldani a proposito del non distinguere droghe “leggere” o “pesanti” in quanto si vedono soggetti che cominciano a manifestare malattie mentali anche dopo aver fatto abuso di sostanze cosiddette “leggere”.