A cura di Pensiero Forte e PungenteMente 24 luglio 2021
La città fu messa a ferro e fuoco. Eppure la sinistra riesce a raccontare ancora oggi la favola della rivolta popolare contro un regime simil-cileno. Nulla di più falso. Ecco perché il G8 del 2001 fu un fallimento per tutti.
di Maurizio Belpietro
Confesso: mi fanno orrore le celebrazioni del ventennale del G8. Nel luglio del 2001, Genova fu messa a ferro e fuoco e un ragazzo venne ucciso mentre stava lanciando un estintore contro un carabiniere, dopo che i suoi compagni erano riusciti a far schiantare contro un muro l’auto delle forze dell’ordine. Che c’è da celebrare, dunque?
Che cosa bisogna ricordare, se non la vergogna di un movimento che, sfruttando l’ingenuità di tanti giovani che volevano cambiare il mondo, li portò a una manifestazione che si rivelò violenta ed eversiva? Che dopo una giornata di scontri, la polizia arrestò centinaia di giovani e, commettendo dei reati, provò a incastrare i manifestanti mettendo le molotov nell’edificio in cui i manifestanti avevano trovato riparo?
Che cosa c’è da ricordare, se non il fatto che gli organizzatori di quel corteo avevano torto e che riuscirono, grazie al contributo di vari sfascisti, a trascinare nel fango anche le forze dell’ordine? A leggere in questi giorni le rievocazioni di ciò che accadde vent’anni fa, pare che un gruppo di bravi ragazzisi fosse dato appuntamento a Genova per manifestare il proprio punto di vista sulla globalizzazione.
E gli apparati di uno Stato simil-cileno mobilitarono una polizia simil-golpista per manganellare i partecipanti al corteo, costruendo poi prove false contro di loro. So che ci sono sentenze e anche che vari dirigenti della polizia sono stati riconosciuti colpevoli di vari reati, depistaggi compresi. Tuttavia, la verità dei tribunali è una cosa e quella dei fatti un’altra.
A Genova, si diedero appuntamento i peggiori contestatori d’Europa, i quali non avevano altro obiettivo se non di distruggere tutto ciò che avrebbero incontrato sulla loro strada. Auto, vetrine, uffici: tutto. Un saccheggio in nome di un movimento che si opponeva alla globalizzazione, ritenendola il simbolo dello sfruttamento dei Paesi poveri da parte delle multinazionali.
Come la storia ha dimostrato, i No global non avevano capito niente, perché grazie alla globalizzazione i Paesi ricchi non si sono arricchiti ancora di più alle spalle di quelli poveri, semmai è successo il contrario. Il Terzo mondo ha fatto piccoli passi avanti sulla via dell’emancipazione e l’Occidente ha fatto dei grandi passi indietro sulla via della decrescita «infelice».
Dunque, quei giovani che sfilavano ritenendo di essere i buoni, avevano torto. Se il mondo avesse dato retta a loro, oggi milioni di personeavrebbero un reddito inferiore a quello attuale, perché i cosiddetti Paesi invia di sviluppo, a causa del blocco della globalizzazione, non avrebbero visto aumentare il loro Pii e dunque i redditi dei loro cittadini.
Chiarito questo, e cioè da che parte stessero gli interessi dei Paesi deboli, a Genova si radunarono gruppi di casseur, cioè di teppisti, con l’obiettivo di sfasciare tutto e di accodarsi a chi aveva intenzione di violare la zona rossa, ossia il perimetro dichiarato inviolabile dalle autorità, in quanto ritenuta area di sicurezza per i capi di Stato riuniti sotto la Lanterna.
Ma gli sfascisti non avevano alcuna intenzione di rispettare gli stop imposti dall’autorità: volevano solo rompere vetrine, distruggere bancomat, sradicare cartelli segnaletici, incendiare auto. Tradotto: volevano lo scontro per lo scontro, per poter dire che l’Italia è una dittatura e la sua polizia è uguale a quella di Augusto Pinochet.
Ovviamente tutto ciò è falso. Le forze dell’ordine commisero vari errori e alcuni dirigenti anche reati, ma lo sbaglio più grande è essere cascati nel tranello dei black bloc, dei teppisti rossi, della marmaglia di contestatori con il sanpietrino. Il risultato è che a vent’anni di distanza, celebriamo Carlo Giuliani come fosse un eroe e non un hooligan con la bandiera rossa. A lui è dedicata una stanza del Parlamento e non si capisce perché il Parlamento non ne abbia dedicate altre alle vittime delle Br o dei Nar.
La realtà è che il G8 di vent’anni fa è stato un fallimento da ogni punto di vista. Prima perché ha consentito che una città fosse messa a ferro e fuoco e poi perché purtroppo -anche a causa degli errori commessi dalle forze dell’ordine -ha consentito e consente alla sinistra di raccontare la favola bella di un Paese che si è schierato contro uno Stato autoritario.
No, l’Italia di quegli anni non era un Paese autoritario, semmai senza autorità. E la sinistra che oggi celebra il ventennale del G8 è una sinistra di reduci: un po’ come quei compagni di classe che a distanza di tempo si ritrovano per raccontarsi quanto erano giovani equanto erano forti, ma soprattutto per dirsi quanto sono invecchiati oggi. Ecco perché, tra i reduci e i poliziotti, io starò sempre con questi ultimi.
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Il caos fu cercato. Non dal governo
Da ministro fui personalmente incaricato di garantire il vertice e insieme contestazioni non violente.Scajola dal Viminale ci mise pure molti soldi. I facinorosi rovinarono tutto
di Carlo Giovanardi
Concordo pienamente con quanto scritto da Maurizio Belpietro sulla distorta lettura che gran parte dei media italiani stanno dando di quanto accadde al G8 di Genova venti anni fa. Ne posso parlare con cognizione di causa perché nel 2001 venni incaricato come ministro per i Rapporti con il Parlamento di convocare riunioni alle Camere per garantire la possibilità di organizzare manifestazioni pacifiche da parte di chi volesse contestare il vertice.
L’allora ministro degli Interni, Claudio Scajola, mise a disposizione delle associazioni che intendevano esprimere il loro dissenso ingenti somme per permettere loro di fruire gratuitamente di vitto ed alloggio a Genova. L’obiettivo del governo Berlusconi era chiarissimo: permettere lo svolgimento del G8 e nel contempo assicurare libertà di manifestazione pacifica del dissenso.
Ricordo anche che alla vigilia del vertice dei capi di governo telefonai personalmente ad alcuni colleghi parlamentari per dissuaderli dall’idea di recarsi a Genova, per evitare ogni tipo di speculazione sulla loro presenza. Purtroppo questo disegno venne fatto saltare da gruppi ben organizzati di black bloc che, infiltrati nei cortei, si scatenarono in violenze e saccheggi, a danno di cittadini e commercianti.
In questo contesto si inserisce la tragica vicenda di Carlo Giuliani e Mario Placanica, il giovane genovese che perse la vita e il giovane carabiniere che ha avuto la vita distrutta da quell’episodio. Ho scritto recentemente la prefazione di un libro che racconta il calvario di Mario Placanica, certamente con Giuliani una delle vittime principali di quei giorni di follia.
Tre dati emergono con certezza: quando ha sparato Placanica stava per essere linciato, non era lì volontariamente ma comandato come militare, sfortunatamente uno dei due colpi sparati verso l’alto venne deviato da un calcinaccio scagliato dai manifestanti verso i carabinieri (fatto accertato giudizialmente).
Certo fa impressione sentire oggi in tv Placanica scusarsi, pressato dalla canea mediatica, per aver sparato ma continuando ad urlare che non è un assassino ! Tutto quello che è successo dopo, alla Diaz come a Bolzaneto, è responsabilità morale e penale di chi ha dimenticato che chi indossa una divisa non può mai, dico mai, usare violenza su persone sottoposte alla sua custodia.
Ma è evidente che la colpa del caos di Genova nel 2001 è delle frange violente dei no global e di chi li ha coperti mentre mettevano a ferro e fuoco una intera città, mentre l’obiettivo era quello di colpire un governo di centrodestra neo eletto che aveva tutto l’interesse che il G8 si svolgesse liberamente dando anche spazio al pacifico dissenso.
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Marcia «pacifica» e teppisti «isolati»?
Io che c’ero vi svelo le otto bugie sul G8
L’inferno era un piano preciso di antagonisti organizzati e ben coperti. La stampa manipolò i fatti fin da subito. Lo fa da 20 anni
di Giorgio Gandola
«Non vogliamo niente, solo spaccare tutto» Il «fuck you» successivo era una specie di punto esclamativo romantico per i black-bloc arrivati dai centri sociali di Londra e di Manchester, fratelli di spranghe e di birre dei compagni tedeschi, italiani, francesi, danesi, spagnoli (tendenti al basco: trovarono anche fiancheggiatori dell’Eta). Gli inglesi erano calati in riviera su un bus a due piani, nessuno poteva definirli invisibili.
Spaccare tutto era l’ideale no global dominante in quel fine settimana di vent’anni fa dentro una Genova incendiata e terrorizzata. La stessa che viene descritta da qualche giorno nelle narrazioni mainstream come il teatro off in cui migliaia di giovani oratoriani intenti a cantare nenie furono ferocemente assaliti dalle forze dell’ordine italiane che dovevano proteggere (chissà da chi) i leader della Terra alloggiati sulle navi.
È la grande mistificazione del G8. con il santino di Carlo Giuliani sull’altare di Andrea Gallo (il cappellano dei ribelli) e la «macelleria messicana» della Diaz e di Bolzaneto. Tutto il resto non esiste, è lo sfondo grigio di reportage intinti nella penna rossa. Ma non è stato il tempo a variegare il colore della memoria e a farlo coincidere con l’ideologia mediatica dominante.
La strumentalizzazione cominciò il giorno dopo. Quando alla conferenza finale di Vittorio Agnoletto e Luca Casarini l’inviato di un giornalone sispazientì per le critiche ai violenti e gridò: «Ce ne fossero di più di anarchici al mondo, i bastardi sono i poliziotti». Le otto bugie del G8 nascevano allora e questa è un’operazione di sacrosanta cancel culture.
MANIFESTANTI AL VELENO
chiamavano «disobbedienza pacifica» ma le tute bianche di Luca Casarini e Daniele Farina non erano attivisti agresti che celebrano il ritorno della luna, bensì professionisti dell’anti-tutto in perenne allarme democratico, avvolti dalla bandiera falce e martello. Alcuni, antagonisti estremi, violenti quando serve. Magma indistinto di centri sociali del Nord Est, Leonka milanesi, squatter torinesi e napoletani, «l’esercito degli straccioni» (come amava chiamarlo il leader dei Giovani comunisti, Gianluca Schiavon) aveva fatto le prove generali nel dicembre 2000 a Nizza e a Ventimiglia durante un vertice europeo. Lacrimogeni e sangue, cariche e arresti. Stesso copione nella primavera 2001 al Forum di Davos, dove i manifestanti vennero fermati dagli idranti caricati a letame. I black bloc, inferociti, si vendicarono distruggendo un quartiere di Zurigo.
BLACK BLOC FUNZIONALI
Se la favola degli antagonisti alla Manu Chao resse un paio di notti, quella dei black bloc cani sciolti crollò alle 10 di mattina di venerdì 20 luglio quando in piazzaTommaseo (fra Brignole e la Foce) esplose la prima molotov. Gli anarchici violenti si erano incistati – con passamontagna, anfibi militari e spranghe (distribuite da camioncini) – nel corteo dei Cobas.
Piero Berlocchi, allora dirigente sindacale della Scuola, disse: «Si sono mimetizzati in mezzoa noi, poi hanno aperto delle cassette di birra edentro c’erano le molotov. Ci hanno detto di farci gli affari nostri e hanno acceso le micce». Bersagli: il carcere di Marassi, la tangenziale per bloccare il traffico, le pompe di benzina da incendiare, le auto da bruciare, i bancomat da far saltare in aria. Strategia: colpire e scappare come nella giungla vietnamita. Attirare la polizia, colpire e poi disperdersi nei quartieri.
CITTÀ A FERRO E FUOCO
Due giorni di guerriglia, ogni manifestazione era un cavallo di Troia per i violenti, valutati in circa 3.000 su 50.000 presenti. L’intelligence fallì, chi doveva arrivare a Genova era arrivato, pronto per la guerriglia urbana. Alla fine Casarini disse: «Le uniche tute nere che ho visto erano quelle dei carabinieri». La mistificazione era già in atto, ma i primi a capire la lezione furono i partiti di opposizione. Pur fiancheggiando le proteste, la sinistra volle garantirsi la pace sociale nel Social Forum di Firenze del 2002 e affidò il servizio d’ordine alla Cgil. Come a dire: sappiamo chi furono i cattivi e dove si nascondevano.
GIULIANI FALSA VITTIMA Due settimane prima del delirio genovese, accadde un fatto strano: il fronte mondialista-ecologista si ruppe. Gli Amici della Terra e altre sigle presero le distanze dalle proteste annunciate al G8: «Ci saranno troppi violenti, noi stiamo a casa». Nel tam tam del web era chiaro: quella doveva essere l’Olimpiade della distruzione. In quell’assalto collettivo premeditato perse la vita Carlo Giuliani.
Ragazzo problematico, si fece trovare a volto coperto e con in mano un estintore in piazza Alimonda, nell’atto di scagliarlo dentro una camionetta dei carabinieri bloccata e circondata da una ventina fra black bloc e scalmanati all’assalto. Fu ucciso per legittima difesa dall’ausiliario Mario Placanicache ieri ha detto: «Da 20 anni vivo in una prigione infinita».
LA DIAZ E BOLZANETO Due parole simbolo della repressione delle forze dell’ordine che dal mattino erano state impegnate in una battaglia campale per limitare e sedare le violenze (bilancio, 130 feriti in divisa). La sera del 21 luglio, convinti che i black bloc ancora una volta fossero confusi fra i manifestanti, i poliziotti entrarono nella sede del Genoa Social Forum, la scuola Diaz, e cominciarono a manganellare anche chi dormiva. Bilancio: 61 feriti e 93 fermati.
La violenza proseguì nella caserma di Bolzaneto con successive condanne morali, giudiziarie e mediatiche. Anche qui la narrazione esce dai verbali per svolazzare nel leggendario. Si legge che «i poliziotti distrussero il centro stampa del Social Forum». Un quarto d’ora dopo la fine del blitz, Radio Gap, che aveva sede in quegli uffici, mi intervistò regolarmente in diretta.
FURBIZIE SINISTRE
Pur topograficamente inadatta alla gestione dell’ordine pubblico, Genova fu scelta dal governo di Massimo D’Alema.Perse le elezioni nella primavera 2001, la sinistra soffiò sul fuoco della rivolta. Soprattutto Rifondazione e Verdi mandarono in prima linea i leader; il G8 costituiva una ghiotta occasione internazionale per rovinare la festa a Silvio Berlusconi. Quasi tutte le componenti global erano dichiaratamente rosse: 400 delle 650 associazioni avevano il marchio marxista. A tal punto che David Bryden, leader del popolo di Seattle e braccio destro di Naomi Klein, dovette prendere le distanze: «Non giriamo con le magliette del Che, chi si ferma agli anni Settanta ha perso».
CRONACA A SENSO UNICO
«Ci sono quattro contestatori morti ma li tengono nascosti». Per tre giorni girò questa favola, raccontata da pseudo-reporter indipendenti (ma dalle regole del mestiere). Il ruolo della stampa fu fuorviante: erano no global anche editorialisti che oggi difendono la globalizzazione con la mitragliatrice. Per spiegare la faziosità basta un dato: fra chi manifestava contro lo Stato c’era il segretario della Fnsi, Paolo Serventi Longhi.La narrazione fu a senso unico e lo è ancora. Registi come Gillo Pontecorvo, Citte Maselli, GabrieleSalvatores calarono a Genova per riprendere gli scontri dalla parte dei dimostranti: le loro cineprese erano rivolte solo alle azioni della polizia. Si persero le devastazioni ma commentarono: «Neppure il ’68 era così estroso» (Maselli).
LE SASSATE DI GENOVA
Mentre intellettuali e media gongolavano per gli antagonisti, per ristabilire l’ordine furono necessari 6.000 lacrimogeni in due giorni. La città martoriata ringraziò a modo suo gli ultra santificati: l’ultimo corteo del sabato fu preso di mira dalle sassate della gente esasperata. Chissà dove sono finiti i video.