La rivista del Clero Italiano febbraio 2010
II carisma educativo di don Luigi Giussani
In occasione del quinto anniversario della scomparsa di don Luigi Giussani (22 febbraio 2010), presentiamo un’interessante riflessione di don Juliàn Carrón, successore di don Giussani alla guida del movimento ecclesiale di Comunione e Liberazione e docente di Introduzione alla Teologia presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano.
Il testo, che pubblichiamo per gentile concessione dell’Editrice La Scuola, riproduce I’Introduzione a L. Giussani, Vivere intensamente il reale. Scritti sull’educazione (1) (Brescia 2010, a cura dello stesso J. Carrón) e riassume efficacemente le linee guida dell’ispirazione educativa del sacerdote milanese, che trovano fondamento nella fiducia verso la capacità umana di arrivare al fondo del mistero del reale comprendendone la profonda natura religiosa.
Si innesta qui la sollecitazione alla libertà delle coscienze giovanili che don Giussani sapeva, con singolare genio, ridestare. E trova qui lo sfondo di senso la proposta della fede che testimonia Gesù Cristo quale rivelazione gratuita e definitiva del Mistero. La figura di don Giussani si aggiunge così a quelle di Giuseppe Lazzati e don Lorenzo Milani, rievocate sulla Rivista nei mesi scorsi, contribuendo ad arricchire quei riferimenti esemplari che aiutano la comunità cristiana a fronteggiare l’odierna «emergenza educativa».
di Juliàn Carrón
Fino dalla prima ora di scuola ho sempre detto: «Non sono qui perché voi riteniate come vostre le idee che vi do io, ma per insegnarvi un metodo vero per giudicare le cose che io vi dirò. E le cose che io vi dirò sono un’esperienza che è l’esito di un lungo passato: duemila anni». Il rispetto di questo metodo ha caratterizzato fin dall’inizio il nostro impegno educativo, indicandone con chiarezza lo scopo: mostrare la pertinenza della fede alle esigenze della vita.
Per la mia formazione in famiglia e in seminario prima, per la mia meditazione dopo, mi ero profondamente persuaso che una fede che non potesse essere reperita e trovata nell’esperienza presente, confermata da essa, utile a rispondere alle sue esigenze, non sarebbe stata una fede in grado di resistere in un mondo dove tutto, tutto, diceva e dice l’opposto; tanto è vero che perfino la teologia, per parecchio tempo, è stata vittima di questo cedimento.
Mostrare la pertinenza della fede alle esigenze della vita e, quindi – questo “quindi” è importante per me -, dimostrare la razionalità della fede, implica un concetto preciso di razionalità. Dire che la fede esalta la razionalità, vuoi dire che la fede corrisponde alle esigenze fondamentali e originali del cuore di ogni uomo. La Bibbia, infatti, invece della parola “razionalità”, usa la parola “cuore”. La fede, dunque, risponde alle esigenze originali del cuore dell’uomo, uguale in tutti: esigenza di vero, di bello, di bene, di giusto (del giusto!), di amore, di soddisfazione totale di sé (2).
Questo brano di don Giussani, tratto da uno dei suoi libri più noti, descrive quale fosse l’originalità della sua posizione nei confronti dei giovani, così come emerse fin dalla prima ora di insegnamento della religione cattolica, che lui chiamava «scuola di religione»: una fiducia totale. Molti anni dopo affermò che nel lungo arco della sua vita aveva scommesso tutto sulla «libertà pura» di chiunque avesse incontrato – e si possono contare a decine di migliaia le persone che aveva conosciuto.
Proviamo a immaginare quale stima un uomo debba nutrire per l’umanità di chi incontra sul suo cammino per rischiare tutto su di essa. Come è raro trovare uomini così, oggi! Proprio a causa di questa mancanza siamo arrivati a parlare di «emergenza educativa», tanto che la Chiesa italiana ha appena lanciato un programma decennale dedicato al tema dell’educazione.
Come osserva il prof. Giorgio Chiosso, «proprio il senso e la forza della libertà dell’uomo stanno al centro della riflessione religioso-educativa di Luigi Giussani, una delle più recenti ed esplicite reinterpretazioni dell’educazione cristiana come percorso sapienziale» (3).
Questa fiducia di don Giussani trovava fondamento nel riconoscimento della capacità critica dei suoi allievi, cioè di quella risorsa che la natura mette dentro ogni persona affinchè possa rendersi conto della realtà fino alla scoperta del suo significato.
Fin dall’inizio del suo impegno con gli studenti milanesi, a metà degli anni Cinquanta – prima come assistente della gioventù femminile e maschile di Azione Cattolica e poi come insegnante nel liceo Berchet -, Giussani ebbe chiaro che l’unico modo per rispondere alla sfida di un mondo che andava nella direzione opposta a quella della tradizione – e per il quale la fede e la ragione erano come due rette che non si sarebbero mai potute incontrare – era di indicare un metodo per cui le parole cristiane tornassero a essere una risposta convincente alla vita dei giovani.
Il metodo educativo di don Giussani non era quello di ripetere idee giuste, piuttosto il tentativo di ridestare qualcosa che c’era nell’altro, provocandone la libertà. Questo era il suo modo di fare compagnia ai ragazzi, di essere loro amico. Il suo era un richiamo a quel fascio di esigenze ed evidenze originali del cuore – esigenze di verità, di bellezza, di giustizia, di felicità – e un invito a un paragone continuo con esse. E per realizzare questo utilizzava tutto ciò che il genio dell’umanità aveva prodotto, dalla musica alla poesia.
C’è un testo, tra i tanti di Giussani, che descrive il percorso di questa conoscenza. Il capitolo decimo de II senso religioso. In esso si esprime il suo “genio” educativo, come un accompagnare dentro la profondità della realtà fino alla scoperta di un quid ultimo che la costituisce. Tutto parte dal rapporto con la realtà.
La realtà agisce sulla ragione dell’uomo come un invito a scoprire il significato di tutto ciò in cui si imbatte. Interrompere questa dinamica è come bloccare la conoscenza.
Il modo con cui il reale si presenta a me è sollecitazione a qualche cosa d’altro. […] Il reale mi sollecita […] a ricercare qualche cosa d’altro, oltre quello che immediatamente mi appare. La realtà afferra la nostra coscienza in maniera tale che questa pre-sente e percepisce qualche cosa d’altro. Di fronte al mare, alla terra e al ciclo e a tutte le cose che si muovono in esso, io non sto impassibile, sono animato, mosso, commosso da quel che vedo, e questa messa in moto è per una ricerca di qualcosa d’altro (4).
Si tratta della stessa concezione che si può scorgere in un poeta come Eugenio Montale: «Sotto l’azzurro fitto / del cielo qualche uccello di mare se ne va; / né sosta mai: perché tutte le immagini portano scritto: / “più in là!”» (5). E questa è l’immagine di William Shakespeare: «Mostrami una amante che sia pur bellissima; che altro è la sua bellezza, se non un consiglio ove io legga il nome di colei che di quella bellissima è più bella?» (6).
Giussani osserva che questa dinamica del segno non è completa, se non giunge sino al suo culmine: il riconoscimento stupefatto della realtà del Mistero che fa tutte le cose. «Il vertice della conquista della ragione è la percezione di un esistente ignoto, irraggiungibile, cui tutto il movimento dell’uomo è destinato, perché anche ne dipende. È l’idea di mistero» (7).
E ancora: «II mondo è un segno. La realtà richiama a un’Altra. La ragione, per essere fedele alla natura sua e di tale richiamo, è costretta ad ammettere l’esistenza di qualcosa d’altro che sottende tutto, e che lo spiega» (8). È questo che infiammò Giussani di Leopardi quando lo accostò per la prima volta negli anni del seminario: «Raggio divino al mio pensiero apparve, / donna, la tua beltà» (9).
È estremamente significativa la corrispondenza di questa posizione di Giussani con le preoccupazioni di un suo antico vescovo, quel Giovanni Battista Montini – futuro Paolo VI – che nella sua lettera pastorale per la Quaresima del 1957, intitolata Sul senso religioso, scriveva: «II senso religioso è un’attitudine naturale dell’essere umano a percepire qualche nostra relazione con la divinità […], come l’apertura dell’uomo verso Dio, l’inclinazione dell’uomo verso il suo principio e verso il suo ultimo destino», fino a definirlo «sintesi dello spirito» e sottolineando che «nostra missione dev’essere la restaurazione del senso religioso», da troppo tempo – il termine è dello stesso Montini – «trascurato» (10).
È questa una preoccupazione che mostra quanto fosse già allora, e quanto sia ancora più urgente, oggi il bisogno di educazione, così come la definisce Josef Andreas Jungmann, ripreso da Giussani: educare è «introdurre alla realtà, in definitiva alla realtà totale» (11). Tutti dobbiamo renderci conto di quanto sia necessario ritrovare la passione per una ragione intesa come esigenza di totalità per introdurre un giovane – e anche un adulto – alla realtà nella sua interezza, senza censurare nulla e senza tagliare via alcun pezzo di essa.
Questa introduzione alla realtà esige la presenza di qualcuno che viva la propria ragione come esigenza inesauribile di totalità, secondo quanto affermò all’inizio degli anni Settanta l’allora cardinale Karol Wojtyla: «È propria della persona la capacità di cogliere questo bene, e in particolare di coglierlo quando la persona diviene soggetto dell’azione, la capacità di coglierlo nell’atto» (12). Per questo sono più che mai necessarie persone che siano testimoni, e non semplicemente dispensatori di istruzioni per l’uso, testimoni che mostrino in atto un uso adeguato della ragione. Come osserva ancora il prof. Chiosso, in Giussani l‘educazione si configura perciò sempre come «la proposta di una risposta», da vivere come un evento personale in cui interagiscono affettività, intelligenza, comunione con gli altri, apertura al trascendente (13).
Riportare al senso ultimo della realtà
C’è un episodio degli anni in cui Giussani insegnava al liceo Berchet. Lo ha raccontato lui stesso in varie occasioni. Si tratta di un esempio di un’educazione che spalanca l’io, fino a condurlo a intravedere il fondo ultimo e misterioso delle cose:
Quando insegnavo in prima liceo […], andavo da casa mia al Berchet con in braccio un giradischi […] e poi facevo sentire Chopin, Beethoven… Uno dei primi che ho fatto sentire è stato questo concerto [per violino e orchestra] di Beethoven […], dove c’è il refrain che ho chiamato della comunità, quando tutta l’orchestra entra e ha sempre la stessa melodia, poi per tre volte il violino, che rappresenta la singolarità, prende la fuga e va per il suo destino, fin quando, stanco, è ripreso dal tema melodico dell’orchestra intera… quando c’è stato il pezzo che abbiamo sentito, nell’aula di quella prima E dove c’era assoluto silenzio, una ragazza che era al primo banco, qui a destra, che si chiamava Milene Di Gioia — me la ricordo ancora —, improvvisamente è scoppiata in un pianto dirotto, che non riusciva più a frenare […]. Lo struggimento che il tema fondamentale genera — struggimento tale che una sensibilità come quella della Milene l’ha fatta scoppiare in pianto – questo struggimento è l’emblema dell’attesa di Dio che ha l’uomo (14).
Quando insegnavo religione a Madrid, un giorno accompagnai i miei studenti a visitare il planetario; di ritorno domandai loro da che cosa fossero stati colpiti di più. In breve la lavagna fu riempita di domande: non si domandavano quante fossero le stelle o le galassie, ma chi aveva fatto tutto ciò che avevano osservato, se ne siamo i padroni, che senso avesse l’intero universo. Fu per me un’esperienza impressionante: il ciclo stellato aveva ridestato nei miei studenti la domanda sul significato ultimo della realtà, come accade al pastore errante dell’Asia di Leopardi, il poeta che don Giussani chiamava «amico», da lui citato per tutta la vita e del quale parla anche in questa antologia:
E quando miro in cielo arder le stelle; / Dico fra me pensando: / A che tante facelle? / Che fa l’aria infinita, e quel profondo / Infinito seren? che vuoi dir questa / Solitudine immensa? ed io che sono? (15).
Don Giussani educatore si identifica con questa sua capacità di ridestare nell’io il desiderio di qualcosa di bello, di vero e di grande, proprio a partire dall’incontro con la realtà, in qualche modo “consegnandosi” ai suoi studenti e poi alle migliaia di adulti che lo hanno seguito in questi cinquant’anni. Egli è stato di fronte a loro – e a noi – da uomo, li – e ci – ha sfidati a verificare la proposta cristiana come adeguata a degli esseri ragionevoli. Tanti hanno accolto il suo invito e questo li ha messi nelle condizioni migliori per dare un contributo al benessere del popolo, secondo la più autentica tradizione cattolica.
Allargare la ragione
Come servirsi della ragione, come impegnare il desiderio, l’affezione e la speranza? Questo interrogativo è fondamentale per chiunque, non solo per i cristiani. Anzi, i cristiani sono esattamente uomini che hanno riconosciuto la fede come interessante per la loro umanità. Don Giussani ha messo in gioco in questa sfida entusiasmante la sua reputazione di uomo e di sacerdote: testimoniare con la sua stessa vita che essere uomini è «vivere intensamente il reale» – per citare una sua tipica espressione, contenuta ne Il senso religioso -, cercando il significato di tutto; e che essere cristiani non significa essere un po’ meno uomini, con alcuni desideri di meno e molte regole morali in più.
Nella proposta di don Giussani il cristianesimo costituisce l’esperienza di una umanità raggiunta e comunicata. Egli presenta la fede in familiarità con la ragione, come qualcosa che appartiene alla natura dell’uomo. Ecco le sue parole:
La scuola di religione mi ha dato questa intuizione e questa passione: l’intuizione che la fede ha innanzitutto bisogno di dimostrare la sua familiarità con la ragione in tutta la sua consequenzialità, l’intuizione cioè della ragionevolezza della fede, della fede come la cosa più ragionevole che ci sia e, quindi, come la cosa più umana che ci sia. Perché […] la ragione è esigenza, passione ed esigenza di conoscenza di tutto, della totalità […]. Una ragione viva è una ragione totalizzante come orizzonte di tensione, come pretesa di sapere (16).
Per questo sono convinto che il tentativo di don Giussani può dare un contributo positivo anche a questa nostra epoca che ha rinunciato alla ricerca del vero e nella quale la fede è stata ridotta a un vago sentimentalismo o a un’etica. All’inizio degli anni Cinquanta egli aveva scorto i segni di una crisi che ora tutti riconoscono – si parla, come abbiamo detto, di «emergenza educativa» -. Per tanto tempo si è pensato che fosse sufficiente insegnare ai ragazzi la matematica o la lingua italiana, invece che suggerire la strada per entrare nel reale, il che ha generato una terribile indifferenza, un’incapacità di interessarsi a qualunque cosa.
Questo è il contesto in cui un adulto si trova ad assolvere il proprio compito educativo, tanto più chi è impegnato nella scuola. Immaginiamo un insegnante che al mattino entri in classe carico della domanda se avrà la possibilità, insegnando, di destare un qualche interesse nei ragazzi, così da aiutarli a guardare e ad affrontare la realtà in un modo vero, con uno sguardo positivo sulle persone e sulle cose.
Quell’insegnante si rende ben conto che un discorso non è sufficiente per accendere il loro interesse. Don Giussani iniziò la sua avventura nella scuola, salendo i gradini del Berchet proprio per questo: egli voleva insegnare ai suoi studenti un metodo che ne allargasse la ragione e che consentisse loro di fare una strada, crescendo come uomini.
Giussani ha testimoniato che cosa significa «allargare la ragione» – una ragione intesa come una finestra spalancata sulla realtà -, e lo ha fatto valorizzando tutto ciò che di bello, di vero e di buono incontrava. È la medesima preoccupazione che vediamo proposta di continuo da Benedetto XVI. Da questo punto di vista, è singolare – e altamente significativo – che siano proprio due uomini di Chiesa a difendere un uso della ragione non sottomesso ad alcun dogmatismo – clericale o laicista che sia -, e che lo facciano senza temere incomprensioni e critiche anche aspre.
Fronteggiare l’emergenza educativa
Questi sono i testimoni di cui oggi abbiamo bisogno per rispondere all’emergenza educativa. Giovani e adulti, nessuno escluso, non vincono lo scetticismo e l’indifferenza sulla vita – finendo inesorabilmente in quel nichilismo che divora ogni traccia di umanità e di desiderio – perché qualcuno spiega loro astrattamente le cose, ma se si imbattono in qualcuno la cui vita documenta una pienezza di umanità che appare come qualcosa di desiderabile per se stessi.
Ce lo ricorda don Giussani: L’incontro […] ha la caratteristica di una novità e di un valore senza pari. Ma attraverso una frase, una parola, un gesto vediamo affiorare nella realtà presente l’incontro con una tradizione che ha le sue radici nei secoli. L’incontro con quella comunità o quel compagno, cioè, ci comunica un annuncio che sgorga da una vita di secoli, dalla tradizione (17).
Quando intraprese la strada dell’insegnamento nelle scuole medie superiori di Milano, il che lo portò di lì a pochi anni ad abbandonare la carriera teologica, intendeva proporre ciò che lo aveva raggiunto ed entusiasmato prima in famiglia e poi in quella grande scuola che fu per lui il seminario di Venegono: Cristo come risposta alle esigenze del cuore di ogni uomo, «centro del cosmo e della storia», Cristo come il risolutore della crisi che affligge l’uomo contemporaneo, per il quale tutto sembra finire nel nulla.
Come gli scrisse Giovanni Paolo II in occasione del ventesimo anniversario del riconoscimento pontificio della Fraternità di Comunione e Liberazione, l’uomo non smette mai di cercare: quando è segnato dal dramma della violenza, della solitudine e dell’insignifìcanza, come quando vive nella serenità e nella gioia, egli continua a cercare. L’unica risposta che può appagarlo acquietando questa sua ricerca gli viene dall’incontro con Colui che è alla sorgente del suo essere e del suo operare. Il movimento, pertanto, ha voluto e vuole indicare non una strada, ma la strada per arrivare alla soluzione di questo dramma esistenziale. La strada, quante volte Ella lo ha affermato, è Cristo. Egli è la Via, la Verità e la Vita, che raggiunge la persona nella quotidianità della sua esistenza. La scoperta di questa strada avviene normalmente grazie alla mediazione di altri esseri umani. Segnati mediante il dono della fede dall’incontro con il Redentore, i credenti sono chiamati a diventare eco dell’avvenimento di Cristo, a diventare essi stessi “avvenimento”. Il cristianesimo, prima di essere un insieme di dottrine o una regola per la salvezza, è pertanto l “avvenimento” di un incontro. È questa l’intuizione e l’esperienza che Ella ha trasmesso in questi anni a tante persone che hanno aderito al movimento (18).
Un carisma ancora attuale
Questo è stato ed è tuttora l’incontro col carisma di don Giussani per tanti in Italia e nel mondo; egli ha tracciato una strada che non legava a sé: lo ha ricordato l’allora cardinale Joseph Ratzinger nell’omelia per il suo funerale nel Duomo di Milano, quando disse che don Giussani realmente voleva non avere per sé la vita, ma ha dato la vita, e proprio così ha trovato la vita non solo per sé, ma per tanti altri. Ha realizzato quanto abbiamo sentito nel Vangelo: non voleva essere un padrone, voleva servire, era un fedele servitore del Vangelo, ha distribuito tutta la ricchezza del suo cuore, ha distribuito la ricchezza divina del Vangelo, della quale era penetrato e, servendo così, dando la vita, questa sua vita ha portato un frutto ricco – come vediamo in questo momento -, è divenuto realmente padre di molti e, avendo guidato le persone non a sé, ma a Cristo, proprio ha guadagnato i cuori, ha aiutato a migliorare il mondo, ad aprire le porte del mondo per il cielo (19).
In questo modo Giussani si è fatto compagno di chiunque, senza mai sostituirsi alla libertà di coloro con cui entrava in rapporto. Al contrario, egli ha sempre sfidato la ragione con una proposta di fronte alla quale bisognava prendere posizione, sia che vi si aderisse sia che la si rifiutasse. Questa è stata anche l’unica ragione per cui da lui è nato quel tentativo di educazione alla fede chiamato Comunione e Liberazione:
II motivo che ci muove e che giustifica la nostra diffusione non è in noi, ma è al fondo di noi, là dove c’è un Altro [con la A maiuscola], Colui che adoriamo. Noi vogliamo realizzare non un nostro partito, non un nostro progetto, ma qualcosa d’altro, di puro, di netto, che non dipende da noi, ma da Colui che ci ha fatti. Per questo l’incontro accettato con semplicità ci da una grande libertà di spirito che non ci fa mai fermare, che ci fa agire indipendentemente dalla nostra cultura o dalla nostra scaltrezza, al di sopra perfino del nostro cuore. Questa fede, questa sicurezza l’abbiamo perché un Altro agisce in noi. La nostra libertà è quella semplicità e ingenuità per cui non ci stancheremo mai di rivolgerci a chiunque, di ripetere a chiunque l’invito a quell’incontro, che è definitivo nella vita di un uomo (20).
La fede che don Giussani ha proposto nasceva in lui dalla coscienza che Dio, per aiutare l’uomo a scoprire il significato di tutto, si è incarnato, è diventato uomo, un giovane uomo nato nella stirpe di Davide, che camminava per le strade polverose della Galilea, col quale ci si poteva sedere a tavola per bere e mangiare. Infatti il cristianesimo è un nuovo modo di vivere questo mondo. È un tipo di vita nuova: non rappresenta innanzitutto alcune esperienze particolari, alcuni modi, gesti accanto ad altri, alcune espressioni o parole da aggiungere al solito vocabolario: […] il cristiano guarda tutta la realtà come chi non è crstiano, ma ciò che la realtà gli dice è diverso, ed egli reagisce in modo diverso (21).
Quando ho incontrato don Giussani, è stato proprio questo che mi ha “conquistato”: la possibilità di entrare nel reale come verifica della fede. Fino ad allora pensavo di perdere tempo seguendo la direttiva dei miei superiori, che invece di lasciarmi dedicare alle mie ricerche scientifiche mi costringevano a fare il professore.
Ma dopo quell’incontro tutto si è fatto più chiaro in me: insegnando, avevo avuto l’opportunità di fare la verifica della fede. Per questo è nata in me una gratitudine per quei dieci anni di scuola, perché mi hanno permesso di andare a vedere se la fede era veramente un modo nuovo di conoscere la realtà. E mi sono scoperto più certo, più contento e più libero. Oggi sono grato a don Giussani che mi ha consentito di fare un cammino umano, cioè di rendermi conto della portata della fede – che non è appena un’ispirazione sentimentale o un insieme di valori pur giusti – nella vita.
L’educazione, ci dice Giussani, non è una spiegazione del reale, ma è un aiuto a entrare dentro di esso. Se vogliamo introdurre i giovani al reale, non possiamo farlo «guardando i tori dagli spalti». Possiamo farlo solo se noi per primi facciamo il percorso che proponiamo agli altri: se i giovani vedono la vittoria nel nostro volto di adulti, nel modo come agiamo e viviamo, potranno interessarsi a quello che diciamo loro, e forse potrà venire loro il desiderio di vivere così.
Diceva don Giussani: «L’educazione è una comunicazione di sé, cioè del proprio modo di rapportarsi con il reale». È decisiva questa affermazione, perché chiarisce che comunicazione di sé non è esternare i propri pensieri, ma il proprio modo di rapportarsi col reale, perché «l’uomo è, infatti, una modalità vivente di rapporto con il reale» (22).
Per questo don Giussani diceva che «l’inizio è una presenza che si impone. L’inizio è una provocazione, ma non al “cervello”, […] [ma] alla nostra vita; ciò che non è provocazione alla vita ci fa perdere tempo, energia e ci impedisce la vera gioia» (23).
Questa è una preoccupazione costante in don Giussani. Infatti dice: II cristianesimo è l’annuncio di Dio incarnato, e questo non significa solo dire che Dio ha preso carne, ma anche che si è reso immanente, organico al tempo, allo spazio, alla storia. Allora bisogna essere dentro nella trama normale e nella modalità con cui la società, con un potere che entra dovunque […], coinvolge l’individuo e lo condiziona manipolandolo per i suoi scopi; bisogna esser dentro, nell’ambiente; bisogna essere organici al mondo nella sua concretezza capillare. […] Presenza vuoi dire essere con tutta la propria umanità dentro l’ambiente (24).
Cristo ci interessa sopra ogni altra cosa perché ci consente di stare nella realtà, qualunque sia la circostanza in cui siamo collocati.
Note
1) Si tratta di un’antologia di testi di don Giussani, edita nella collana “Maestri”, diretta da Fulvio De Giorgi e Luciano Pazzaglia.