dal sito Aleteia 11 febbraio 2017
Dal coraggio alla sincerità: la vera scommessa è riscoprirsi cavalieri nel mondo moderno
Le 7 virtù che oggi ogni uomo dovrebbe riscoprire per essere attrattivo e attraente nei confronti di una donna. Ne parla lo psicoterapeuta Roberto Marchesini in “Codice cavalleresco per l’uomo del terzo millennio” (Sugarco edizioni).
“Il Codice cavalleresco per l’uomo del terzo millennio – scrive nella prefazione Giorgia Brambilla, professoressa associata di Bioetica Ateneo “Pontificio Regina Apostolorum” – si presenta come una mappa per l’uomo contemporaneo per riscoprire se stesso e la grandezza del suo essere maschile attraverso l’arduo cammino delle virtù (da vir, uomo) che contraddistinguono il cavaliere, figura appropriatamente presa dall’autore a modello dell’uomo di ogni tempo”.
1) CORAGGIO. Essendo una virtù, cioè un abito, il coraggio dipende dalle nostre azioni. Come dice Aristotele, se compiamo azioni coraggiose diventiamo uomini coraggiosi; al contrario, se compiamo azioni vili, diventiamo vili (Etica nicomachea, III, 1, 1103b). Sono quindi le nostre azioni che ci definiscono. Ogni giorno, azioni grandi o piccole. Non esistono uomini coraggiosi a prescindere dalle azioni che compiono; così come la mancanza di coraggio non può essere additata come giustificazione per azioni vili. Ogni uomo è chiamato a sviluppare in sé la virtù della fortezza compiendo azioni coraggiose, cioè opponendosi al male anche a rischio della propria incolumità. Il destino dell’uomo è, da pavido, diventare coraggioso.
L’uomo coraggioso non è l’uomo che non ha paura. Non esiste un uomo che non abbia paura, la paura è una passione buona e naturale. L’uomo coraggioso è l’uomo che ha paura, ma fa ugualmente ciò che è giusto. È l’uomo che utilizza le passioni, non si fa guidare da esse. Dominare le passioni, e non farsene dominare; guidarle, indirizzarle verso il bene
2) SINCERITA’. Perché è così difficile essere sinceri? Innanzitutto, la menzogna è così diffusa che sembra normale. L’uomo sincero rifugge la lusinga, l’adulazione o la compiacenza. Dice quello che pensa, e pensa quello che dice. Non baratta la verità con l’approvazione degli altri: sceglie la prima, e accetta di portarne il peso. Essere sinceri significa rendersi impopolari, accettare il rischio di vivere controcorrente. Perché essere sinceri significa amare la verità più degli amici. L’uomo sincero non è un chiacchierone, non parla a vanvera: le sue parole sono poche e pesanti. Hanno delle conseguenze, ed egli è pronto a farsene carico.
3) ONORE. L’onore non coincide con la reputazione. L’onore dipende dalle virtù della persona, non da quello che altri pensano di lei. Le due cose non coincidono, anzi, spesso sono in antitesi. Chi si comporta in maniera virtuosa necessariamente scontenta qualcuno; e chi vuole piacere a tutti deve necessariamente rinunciare a comportarsi in modo onorevole. La nostra società – senza onore, come abbiamo già visto – è basata sulla reputazione.
Per convincersene è sufficiente chiedersi qual sia il motivo dell’enorme successo dei cosiddetti social network, inutili intrattenimenti per adulti. Cosa spinge una persona adulta a gettare la propria vita, reale o immaginaria che sia, in pasto a perfetti sconosciuti? Un piccolo meccanismo perverso ma straordinaria- mente efficace: la possibilità di ricevere dei Like, «Mi piace», di avere dei followers. Di avere, cioè, l’approvazione e l’attenzione degli altri, anche se sono dei perfetti estranei. Chi elemosina approvazione da chiunque è generalmente una persona molto insicura, e chi fa di tutto per avere un po’ d’attenzione è, di nuovo, il bambino.
Essendo l’onore la conseguenza della virtù, e dipendendo la virtù dalle nostre azioni e non dalle altrui, ne consegue che, come scriveva Cechov, “L’onore non si può togliere, si può solo perdere“ La nostra è la società del piagnisteo, dove ognuno si lamenta continuamente di essere stato offeso dagli altri. In realtà solo noi possiamo offenderci, solo noi possiamo ferire il nostro onore comportandoci in modo indegno. L’onore si può solo perdere, non si può togliere.
4) LEALTA’. Lealtà deriva dal latino legalitas, cioè la fedeltà alla legge: non a una legge imposta, ma a una legge che la persona ha scelto liberamente di darsi, cioè a un impegno, a un accordo, alla parola data. Una volta data la propria parola, l’accordo diviene, per chi è leale, intangibile. Non è leale chi rispetta la parola data quando tutto va bene; è leale chi è disposto a perdere qualcosa (una amicizia, la reputazione, la libertà, la vita…) pur di restare fedele alla sua parola. La lealtà costa.
La nostra società, nella quale la lealtà è ormai scomparsa, tenta di reggersi sulla legalità, da tanti esaltata come massima virtù civile. Ma una società nella quale la legalità ha preso il posto della lealtà non è una società di uomini liberi, bensì di schiavi. Che nel mondo occidentale la lealtà sia scomparsa lo dimostra la crisi dell’istituto matrimoniale. Il matrimonio non è altro che una promessa solenne e pubblica. Il tradimento (considerato fisiologico nella nostra società) e il divorzio non sono altro che una rottura del giuramento, una slealtà.
5) CAVALLERIA. Il cavaliere non è tale per nascita, ma per virtù; non ha privilegi, ma doveri, che egli accetta liberamente. Il cavaliere è generoso e (il brano non lo specifica) povero: la sua ricchezza non è il denaro (verso il quale non prova nessun attaccamento) ma la virtù, cioè l’onore.
Il cavaliere è giovane (e ogni confronto di questo modello con l’attuale gioventù è davvero improponibile). Il cavaliere teme più la vergogna, l’onta, il peccato della morte. Anzi: la morte, il sacrificio di sé per il bene altrui è il destino, il compimento del cavaliere. Egli diventa cavaliere per morire in modo esemplare e glorioso, a coronamento di una vita spesa al servizio della virtù.
6) CORTESIA. Il termine «cortesia» indica il codice di comportamento che veniva richiesto nelle corti (da qui il nome) che comprendeva eleganza, lealtà, umiltà, generosità; soprattutto indica l’atteggiamento del cavaliere nei confronti delle donne. La cortesia è in realtà un atto di vassallaggio nei confronti di una donna, anziché di un signore: il cavaliere mette a disposizione della donna le sue qualità cavalleresche (la forza, il coraggio…) e si lega a una donna in un patto di reciproca fedeltà e lealtà. Non a caso è in questo periodo che la mulier diventa donna, cioè domina (signora).
Oggi, nel mondo del politicamente corretto, la cortesia è considerata assolutamente riprovevole. Un uomo che metta a disposizione di una donna la sua forza fisica (aprendo la porta o la portiera dell’auto, aiutandola a indossare il cappotto o ad accomodarsi al tavolo, porgendo il braccio per la passeggiata…) o economica (pagando il conto del ristorante…) è considerato un ottuso misogino, un arrogante e volgare prevaricatore che ostenta una superiorità inesistente. Il femminismo e l’ideologia di genere insistono nell’affermare che la forza che l’uomo mette a disposizione della donna nei gesti di cortesia è una affermazione di supremazia, intollerabile nel mondo moderno contemporaneo.
7) FRANCHEZZA. Grazie alla letteratura cavalleresca che narrava le epiche imprese di giovani francesi il termine “franco” (da cui deriva franchezza, cioè l’azione dell’essere franco) divenne così sinonimo di cavalleresco, cioè coraggioso, leale, sincero, libero.
Pensiamo, ad esempio, che san Francesco d’Assisi era stato battezzato Giovanni. Fu suo padre, Pietro di Bernardone, a chiamarlo Francesco, desiderando un figlio che incarnasse l’ideale cavalleresco. E, di fatto, lo incarnò. Non solo partecipando alla guerra contro Perugia (1202); non solo partecipando alla quinta crociata (1219); ma seguendo l’esempio di Cristo fino alla morte (tanto che nel suo corpo si aprirono le stesse ferite che ricevette Gesù sulla croce).