La Spagna tra i 498 martiri beati e la Ley de la memoria
di Marina Valensise
E se molti sono pronti a riconoscere la libertà di Papa Benedetto XVI e della chiesa cattolica di onorare secondo tradizione i martiri cristiani, non altrettanti sembrano disposti ad avallare la libertà di mettere mano alla storia nazionale.
La nuova legge, infatti, frutto di più di un anno di trattative parlamentari, condanna il franchismo e rende onore alle vittime della guerra civile e della dittatura. E’ vero che nell’ultima stesura si parla di “tutte le vittime”, dunque non solo i miliziani repubblicani che si battevano per il Fronte popolare e vennero torturati dai falangisti e perseguitati durante la dittatura del generale Francisco Franco.
Ma anche gli stessi nazionalisti caduti per mano dei repubblicani nei lunghi mesi della guerra civile, quando le sorti del conflitto non erano ancora segnate.
Il compromesso, spiega l’editore cattolico José Miguel Oriol, è stato imposto come moneta di scambio dai due partiti catalani moderati, usciti dal governo dopo tre anni di coalizione. “Se leggi il preambolo, è evidente che la legge è nata solo per vendicare le vittime di Franco. Ed è perfettamente in linea con la politica generale di Zapatero, che settanta anni dopo pretende di vincere la guerra civile spagnola, trasformando da cima a fondo la democrazia spagnola, sino a demolire la Costituzione e il concordato tra stato e chiesa, per riesumare la legittimità della Repubblica e del Fronte popolare”.
L’idea di una legge della memoria, dunque, suona quasi come un anacronismo nella Spagna post franchista che aveva suggellato “la transición” dalla dittatura alla democrazia col patto dell’oblio, sulla volontà di non accanirsi nell’antagonismo politico della guerra civile.
E anche se oggi sono le stesse nipoti di Federico Garcia Lorca, per esempio, a rifiutare la riesumazione della salma, gettata nelle fosse comuni, per molti questa legge segna la fine di un’epoca. L’epoca della riconciliazione nazionale, studiata da Victor Perez Diaz e orchestrata dal socialista Felipe González, che vent’anni fa dichiarava “non stiamo celebrando, ma commemorando” lanciando la parola d’ordine “Nunca mas”.
Da allora, osserva José Varela Ortega che oggi dirige la Fondazione Ortega y Gasset, isola liberal-moderata nella Spagna zapaterista, “sono usciti migliaia di libri, saggi, articoli, centinaia di interviste e documentari sulla guerra civile e la repressione franchista. Non è vero, come pretende la sinistra radicale, che si sia taciuto sugli orrori del passato E’ vero semmai che la transizione avvenne in nome di un accordo generale: evitare l’uso politico della storia”.
Ora è proprio questo accordo, uno dei segreti del successo politico spagnolo, a essere rimesso in discussione. “Gli antichi greci, insiste Varela Ortega, ci hanno insegnato col teatro di Eschilo che la democrazia è Koinonia, amicizia civile. Zapatero, invece, cerca solo di riattizzare il senso di colpa del centrodestra, tenta di fomentare il radicalismo senza socialismo. Non ho nulla in contrario alle riparazione individuali, ma farne una legge di stato è assurdo. E’ come se noi spagnoli fossimo stati liberati dagli americani, come voi italiani”.
Non solo i liberali sono perplessi, ma anche i radicali di destra come Pio Moa, che negli anni Settanta militava fra i maoisti del Grapo, e oggi è la bestia nera del revisionismo post franchista, autore di best seller dalle tesi urticanti, come “Los Mitos de la Guerra civil”, che minano la vulgata politicamente corretta dell’antifascismo democratico.
“Questa legge è un insulto. Pretende di assimilare le vittime innocenti del franchismo a un gran numero di criminali. E’ una legge antidemocratica, buona per un paese totalitario come Cuba, perché si fonda su una visione completamente falsa della guerra civile, che non segnò la fine della democrazia, ma fu la conseguenza della distruzione della democrazia messa in opera dal Fronte popolare”.
(A.C. Valdera)